Come ritrovare l’ottimismo e uscire dalla crisi: la “restanza”, virtù italiana

La restanza è uno dei fondamenti della dinamica sociale italiana, lo scheletro contadino del modo di pensare e di vivere nella sobrietà e nella pazienza, l’impegno personale nell’azienda e nella professione, la solidarietà diffusa, la valorizzazione del territorio. Ed è la restanza a fare la differenza tra il buio dei conti che non tornano e la luce di nuove opportunità.

COME USCIRE DALLA CRISI. Cauto ma significativo ottimismo. Non è certo un dato certificato dall’Istat sull’aumento di quattro punti della fiducia dei consumatori nell’ultimo mese (il valore più alto dal 2010) a farci ritenere che, improvvisamente, gli italiani abbiano cambiato umore. Non è così. Piuttosto, girando il Paese e sommando ai rilievi dell’Istat altri significativi indicatori, si coglie una tendenza reale, quasi il soffio di un vento nuovo, orientata a una maggiore fiducia nel futuro. Un mix, se volete, di radici, aspettative, e cambi di paradigma.

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LA RESTANZA. Più che all’economia reale, ancora stretta nella morsa della Grande Crisi e nel dramma di una disoccupazione insostenibile, e alla politica, sospesa tra la novità politica e generazionale incarnata da Matteo Renzi e la difficoltà di uscire dalla lunga curva (un ventennio abbondante) della transizione, bisogna guardare alle attitudini di un popolo capace, nonostante tutto, di resistere e andare oltre. Magari anche tornando, con un genetico virtuosismo, alle sue radici. Nel penultimo rapporto del Censis, molto dedicato agli effetti strutturali della Grande Crisi, Giuseppe De Rita ha tirato fuori il valore della restanza come «il vero fondamento della dinamica sociale italiana». La restanza, sono parole del Censis, è tra l’altro «lo scheletro contadino del modo di pensare e di vivere nella sobrietà e nella pazienza, la funzione suppletiva delle famiglie, l’impegno personale nell’azienda e nella professione, la solidarietà diffusa, la valorizzazione del territorio».

Ed è la restanza, oggi, a fare la differenza tra il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà degli italiani, tra il buio dei conti che non tornano e la luce di nuove opportunità, tra un presente che semina ancora rabbia e un futuro che evoca speranza.E’ la restanza, per esempio, che sta spingendo tanti, tantissimi cittadini (più donne che uomini) a riscoprire il valore, anche nei termini della tanto evocata cresciuta economica, dell’attività agricola che mette insieme tradizione e innovazione, come dimostra l’affresco scritto da Giorgio Boatti in un libro imperdibile, intitolato “Un Paese ben coltivato, viaggio nell’Italia che torna alla terra e, forse, a se stessa” (edizioni Laterza).

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SI PUO’ USCIRE DALLA CRISI. Quanto alle aspettative, più che gli umori, le dichiarazioni, le asticelle sempre più alte delle promesse, i programmi ambiziosi di riforme e controriforme, contano i fatti. Le cose, la realtà delle cose. Una recentissima indagine dell’istituto di ricerca Khienn ci dice che il 65 per cento degli italiani è convinto che «il Paese possa uscire dalla crisi se si fanno le cose giuste», sebbene c’è ancora quasi una metà di cittadini piuttosto pessimisti sul loro futuro. Appunto, le cose giuste: quelle che realmente servirebbero ad aprire le porte a un nuovo ciclo di sviluppo, del quale per il momento si colgono soltanto alcuni segnali, dalla tenuta delle esportazioni ad una sorta di Silicon Valley che si sta consolidando, a macchia di leopardo, in tutto il Paese.

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LE OPPORTUNITA’DA NON SPRECARE. E tra le cose giuste ci sono le opportunità da non sprecare. Un piccolo esempio? L’Expo del 2015. Anche in questo caso la percezione degli italiani si è recentemente rovesciata, passando da un pessimismo cosmico, quasi una certezza condivisa di un flop, a nuove e speranzose aspettative: ormai il 69 per cento dei cittadini (il 58 per cento dei milanesi) è convinto che il Paese sarà puntuale all’appuntamento con effetti positivi a catena per l’intero tessuto economico e sociale. «L’Esposizione sta diventando una sorta di simbolo concreto e visibile del rilancio economico e morale del Paese. Il messaggio che si coglie attraverso le statistiche è chiaro: ce la possiamo fare» commenta Carlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio di Milano.

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COME RITROVARE LA FELICITA’? Infine, sullo sfondo dei lampi di un cauto ma significativo ottimismo c’è un tema che non appartiene solo alle scienze economiche e sociali: la felicità, e come un popolo prova a conquistarla non soltanto attraverso parametri quantitativi, a partire dalla ricchezza nazionale (il famoso pil) e individuale ( i redditi e i patrimoni). Gli italiani che hanno resistito alla Grande Crisi, riuscendo a stare in piedi, ad adattarsi (anche nei consumi e nella riscoperta di nuovi stili di vita), sono rimasti però intrappolati in una perdita di felicità. Nel resistere alla tempesta, siamo diventati tristi e abbiamo perso perfino la voglia di sorridere. Mentre i migliori cervelli del mondo occidentale si interrogano alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo, che riduca le diseguaglianze e renda più governabile la globalizzazione, abbiamo capito che la felicità, individuale e collettiva, non è un numero, e neanche una statistica. Certo: senza ingrandire la torta, attraverso la crescita economica, in Italia non ci sarà mai più ricchezza da distribuire, e questo non aiuta a uscire dalla paura e dall’incertezza del futuro.

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L’ALTRUISMO GENERA FELICITA’. Ma allo stesso tempo diventano attuali, proprio per un Paese resilente come l’Italia, gli studi di Richard Layard, direttore del Centre for Economic Performance alla London School of Economics e per anni consigliere di Tony Blair (al quale Renzi sembra ispirarsi), un leader politico che certo ha alzato il livello di felicità e di benessere del suo popolo. Che cosa dice, in estrema sintesi, Layard? Ascoltiamo le sue parole: «Oggi abbiamo una mole enorme di prove su che cosa rende la gente felice. Un basso livello di conoscenze e di educazione dei cittadini, per esempio, possono fare più danni della povertà, e perciò bisogna investire in questi settori. Come si è infelici quando tra le persone che formano la comunità di un popolo c’è scarsa fiducia, quando l’altruismo si eclissa, quando la depressione e il pessimismo dilagano». Ecco perché abbiamo bisogno di cose e anche di ottimismo: per oggi accontentiamoci di quello registrato dall’Istat in tema di fiducia dei consumatori. E speriamo che si allarghi a macchia d’olio.

da Il Mattino

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