A volte può bastare un gesto, anche il più piccolo, per mettere in crisi gli economisti con le loro teorie. La Grande Crisi, un cambio d’epoca più che un fenomeno congiunturale, costringe gli studiosi a interrogarsi su un nuovo modello sviluppo, dopo che è entrato in corto circuito quello dell’iper-liberismo e del consumo compulsivo, fino allo spreco.
Una risposta compiuta ancora non c’è, magari arriverà con il prossimo Premio Nobel, ma intanto un Papa, Jorge Mario Bergoglio, che ha fatto dei gesti l’incipit del suo pontificato, spiazza tutti e indica una strada per il cambiamento. A partire dalla scelta del nome: Francesco, che evoca stili di vita misurati, sobri, responsabili. E innanzitutto più attenti agli altri. Poi la decisione di dormire come un normale cittadino in un pensionato e non nella penombra dei Palazzi Vaticani, l’indossare scarpe scalcagnate, la rinuncia ad abiti papali, la ferma indignazione di fronte allo spreco di cibo definito “un furto”. Tutto con un linguaggio semplice, diretto, da parroco di una comunità più che da Pontefice universale.
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Giustamente Guido Moltedo apre il suo libro “Il manifesto qubista. Dalle scarpe di Francesco all’acqua di Grillo, l’epoca del quanto basta” con il racconto di questo mutamento copernicano che non investe solo il mondo cattolico, ma lancia un messaggio universale anche ai non credenti per ripensare gli stili di vita, e dunque il modello di sviluppo. Non più un’infinita offerta di beni ( e quindi di potenziali consumi), ma l’ambizione di un nuovo benessere costruito attorno al “Quanto basta” e al “Meno è meglio”. Detti così, sembrano slogan di un neo pauperismo, in realtà nelle classi dirigenti e nelle opinioni pubbliche sale una tendenza a ridurre, anche come segnale simbolico di fronte alle diseguaglianza sociali che invece, durante il lungo ciclo dell’iper-liberismo, sono soltanto cresciute.
Non è un caso se Barack Obama, in solidarietà con i dipendenti pubblici colpiti dalla scure della Casa Bianca, annunci di rinunciare al 5 per cento del suo stipendio, oppure se un imprenditore di successo, come l’americano Graham Hill, racconti la sua nuova vita con questo titolo: “Il mio spazio è piccolo, la mia vita è grande”. Hill, che negli anni del consumismo compulsivo aveva perfino un personal shopper che lo aiutava a comprare mobili e telefonini, ha venduto la sua villa a Seattle e vive con la compagna Olga in un appartamento di quaranta metri quadrati. “Ho meno ma godo di più “ dice soddisfatto per la sua scelta.
Moltedo non si lascia intrappolare nelle suggestioni della “decrescita felice”, una teoria intellettuale che piace molto a chi già possiede ma è inapplicabile rispetto a quanti non hanno, e scorre come in un dizionario del cambiamento i punti cardinali dei nuovi stili vita. Condividere, più che possedere. Pensiamo, in proposito, al fenomeno della mobilità declinata attraverso il verbo sharing: car sharing, bike sharing, taxi sharing. Significa città più pulite e meno puzzolenti (leggi sostenibilità ambientale), riduzione dei costi e dello stress. In una parola: benessere.
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Ridurre il numero degli oggetti. La Grande Crisi ci ha colti, come i bambini con le mani nella marmellata, mentre le nostre case traboccano di oggetti che non servono: un terzo del nostro guardaroba non è mai utilizzato, mediamente un italiano ha circa 12 elettrodomestici e prodotti elettrici conservati come le reliquie del superfluo in qualche armadio o in qualche scantinato. Riscoprire il valore della comunità. Qualche settimana fa The Economist ha pubblicato un impietoso ritratto della Me, me, me generation , i nati tra il 1980 e il 2000, ossessionati dall’io, indifferenti rispetto al noi, e poco interessati a cambiare lo status quo. Il passaggio che stiamo attraversando è proprio questo: da una civiltà fondata sulla pura soggettività, fino alla morale fai-da-te, a una riscoperta del valore dello stare insieme. Magari anche a partire da una necessità.
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A Bologna, per esempio, centinaia di condomini stanno condividendo le spese per le badanti e per le collaboratrici domestiche che, come singole famiglie, non potrebbero sostenere. Dai Gas, i gruppi di acquisto solidali, per risparmiare sulla spesa, stiamo passando ai gruppi di acquisto per le forniture domestiche di elettricità. Il modello di sviluppo, quello vero, nella realtà non lo scolpiscono gli economisti, ma nasce dal basso, dalle soluzioni che la collettività riesce a trovare in tempi di emergenza per salvare la pelle e il proprio livello di benessere. Così la Grande Crisi, come dicono i cinesi, si trasforma nella Grande Opportunità.