Ritratto di un Papa umile e forte. Nemico degli sprechi, e pastore dei piccoli gesti

Un papa semplice, sobrio, che da vescovo di una grande metropoli gira con i mezzi pubblici, sparecchia a tavola e lava i piatti dopo cena. Un papa umile e forte. Nemico degli sprechi e delle ingiustizie, ma con le spalle larghe di un uomo di Chiesa che sa fare anche la rivoluzione dei piccoli gesti. […]

Un papa semplice, sobrio, che da vescovo di una grande metropoli gira con i mezzi pubblici, sparecchia a tavola e lava i piatti dopo cena. Un papa umile e forte. Nemico degli sprechi e delle ingiustizie, ma con le spalle larghe di un uomo di Chiesa che sa fare anche la rivoluzione dei piccoli gesti. Jorge Mario Bergoglio, che non a caso ha scelto il nome di Francesco I per il suo pontificato, ha rappresentato una sorpresa per commentatori ed esperti. E ancora più sorprendente sarà il suo pontificato. Vi segnalo questo ritratto a tutto tondo del nuovo Papa, scritto dal giornalista Filippo Ceccarelli per il quotidiano La Repubblica, che descrive molto bene il profilo di Bergoglio e il senso della sua nomina.

Di Filippo Ceccarelli

Il braccio che si leva lento nella benedizione assomiglia un po’ a quello di Giovanni XXIII, ma forse è la sagoma robusta del nuovo papa che rinvia a quei filmati in bianco e nero. Nell’epoca delle visioni a distanza Francesco appare fermo, solido, abbastanza imperturbabile, ma soprattutto irriconoscibile rispetto alle immagini di repertorio — un uomo magro e così teso da sembrare febbrile — che subito dopo l’apparizione trasmettono i telegiornali.
Comunque assai più robusto di Paolo VI e di Papa Luciani, che anche al balcone, appena eletti, sembravano due gracili uccellini. Si accavallano i ricordi, stavolta a colori. Nel mostrarsi per la prima volta alla piazza, Benedetto XVI sollevò le braccia quasi in segno di vittoria e alla folla che lo salutava festosa si sforzò disperatamente di sorridere, cosa che peraltro non è che gli riuscisse tanto bene. A ripensarci, l’esordio di Papa Ratzinger aveva un che sviante, o forse già conteneva l’embrione di un equivoco: «Molto aristocratico» commentava Bruno Vespa nella diretta. Questo nuovo Papa no: le telecamere lo inquadrano mentre guarda giù, si direbbe lievemente incuriosito, o attonito. Un primo piano tradisce una minima patina di sudore. Ma il corpo possiede una sua rilevanza, e anche un’economia di gesti che rinvia a certa fissità.
E tuttavia, visto da dietro, si capisce che ha le spalle larghe. Poi chissà se è vero, spesso la tv vive di miraggi, distorsioni. Il saluto di Bergoglio sembra rapido, ma spontaneo. Certo nulla che possa avvicinarsi all’apparizione di Karol Wojtyla. E forse è suggestione, o peggio il segno del poi, ma nel suo caso si poté cogliere subito la presenza di scena, l’energia, il magnetismo, il carisma del nuovo Papa. Era pure un bell’uomo, giovane, intenso, talmente sicuro di sé da cominciare il pontificato con uno sgarro cerimoniale. Doveva limitarsi alla benedizione e invece Giovanni Paolo II prese la parola e anzi improvvisò e perfino si concesse, sotto gli occhi dei suoi ex parigrado, quella specie di celeberrima gag che diede inizio alla sua personale rivoluzione comunicativa: «Anche — così iniziò con una incongrua congiunzione — non so se potrei spiegare con la vostra — qui si fermò un attimo — la nostra lingua italiana». E quindi, per la sempiterna gloria della civiltà mediatica: «Se sbalio, mi corrigerete!».
Disse anche, Papa Wojtyla, che «era stato chiamato da un paese lontano», e almeno in tale ambito di provenienza Papa Bergoglio lo ha legittimamente superato collocando l’Argentina «quasi alla fine del mondo». Ma poi, ripensandoci, il tratto più inedito e sorprendente dell’apparizione di ieri è stato quel «Fratelli e sorelle, buonasera» con cui egli ha inteso rompere il ghiaccio, per così dire. E alla fine, non senza essersene uscito con un «vi chiedo un favore » e dopo aver formulato un proposito più che informale, «Ci vediamo presto», il pontefice si è congedato con una formula anche affettuosa che si usa tra famigliari, amici e colleghi: «Buona notte e buon riposo». Oh, santa semplicità e beatissimo registro colloquiale nell’esordio dal balcone.
Anche nello stile è parsa riverberarsi questa compiuta assenza di complessità, nell’abito essenziale, ad esempio, senza orpelli, senza gioielli, scarpine o accessori vari. Così, pure al netto delle espressioni di saluto e di ringraziamento, le prime parole e le prime mosse del Papa gesuita, però anche francescano, sono suonate e apparse facili, educate, sostanziali, misurate e abbastanza naturali.

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La stessa gestualità non trova riferimenti nei suoi predecessori. Non si ricorda un Papa con le mani lungo i fianchi, in una posa quasi militaresca. Vero è che in un secondo tempo ha intrecciato le dita delle mani tenendosele sul petto, come chi prega, però anche nel gesto detto «a guglia», che secondo i decrittatori del linguaggio del corpo indicherebbe un atteggiamento di superiorità. Nessuna autodefinizione, d’altra parte, ha ritenuto Sua Santità di offrire al pubblico mondiale. Si ricorderà come Papa Ratzinger si fosse definito, con voce flebile, «un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore». In compenso, Francesco ha derogato al proprio autocontrollo solo al momento in cui levando le mani ha chiesto una preghiera su di sé; e qui, in modo anche inaspettato, si è piegato sulla balaustra, per un attimo mostrando gli anni che pure nel complesso sembra portare abbastanza bene.
Anche per quanto riguarda la voce, che non è quella di un anziano. Anche la recita del Padre Ave e Gloria è una novità. Va da sé che la pronuncia spagnola, almeno per un orecchio latino, è infinitamente più dolce e rassicurante di quella tedesca, e in questo senso è difficile dimenticare l’aspro effetto suscitato a tanti romani dalla parola «gioia» pronunciata alla loggia dopo che il conclave aveva nominato Benedetto: «Gioia».
A Papa Bergoglio, in compenso, nell’Ave Maria è scappato un «Signore è con ti» invece che con «te». Per diverse volte ha menzionato il popolo di Roma, il vescovo di Roma e Roma stessa «tanta bella città», complimento che ha sciolto un certo numero di applausi. E seppure il nuovo pontefice in questo non c’entra nulla, anzi può esserne addirittura vittima, sul piano della resa cerimoniale quegli interminabili attimi di silenzio sulla loggia mentre le bande suonavano l’inno argentino e Fratelli d’Italia devono averlo anche un po’ sconcertato; e per dirla tutta sembrava un po’ di stare alla partita, e se proprio bisogna più che un ipotetico vincitore quei secolarizzatissimi suoni e nazionali si possono purtroppo intitolare alla sconfitta dell’universalismo della Chiesa.
Ma così va il mondo in cui Francesco dovrà dedicarsi nel suo «cammino», parola più volte pronunciata. Solo alla fine lo si è visto appena sorridere, un po’ tirato. Ma almeno a occhio, i guai seri della Chiesa, i dissidi che s’intuiscono dietro l’appello alla «fratellanza», non sembrano aver nemmeno scalfito la calma e forse anche la pazienza che il portamento stabile, immoto e concentrato di Francesco a suo modo manifesta. Eppure, mai come stavolta, più del corpo del Papa è quello della Chiesa e dei suoi fedeli che appare bisognoso di cure e di purificazione. E se la semplicità è una grazia francescana che confonde tutta la vana sapienza di questo mondo, da oggi è da lui che si aspettano gesti, ma veri e utili e coraggiosi, insomma nel senso più alto della parola.

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