COWORKING IN ITALIA – Il pioniere del coworking è stato Brad Neuberg, un programmatore informatico, talentuoso innovatore, che ha creato a San Francisco al numero 801 di Minnesota Street la Hat Factory, un locale arredato con l’essenzialità dei mobili Ikea e tutte le connessioni all’universo di Internet da condividere con altri, in affitto. Racconta Neuberg: «Mi sentivo condannato a una scelta tra l’avere un lavoro stabile con una struttura e dei colleghi e l’essere un freelance, libero e indipendente. Allora mi sono chiesto: perché non posso avere entrambe le cose? Perché non posso, allo stesso tempo, realizzare le mie ambizioni individuali e sentirmi membro di una comunità, di uno stare insieme attraverso il lavoro? Con il coworking ho trovato finalmente le risposte alle mie domande».
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IL PORTALE IMPACT HUB – L’onda sollevata da Neuberg è stata cavalcata ovunque e trasformata persino in una nuova attività economica, in una sfida all’implacabile tempesta della recessione, in una risposta al lavoro che manca e alla solitudine di chi non riesce a trovare la sua strada. Sul sito Impact Hub viene mostrata la forza capillare di un network globale nato a Londra, con oltre cinquemila professionisti che offrono spazi e locali per il coworking in cinque continenti. Si presentano così: «Siamo un’impresa sociale, presente in tutto il mondo, e una comunità di persone di qualsiasi professione, formazione culturale, religione, che lavorano insieme per attraversare nuove frontiere economiche, sociali e ambientali. La nostra innovazione nasce dalla collaborazione e dalla sconfitta dell’egoismo».
LA RETE COWORKING PROJECT – Le bandierine delle rete The Hub sventolano con le relative sedi di coworking a New York come a Pechino, a Belo Horizonte come a Tel Aviv, a Mumbai, Stoccolma e Dubai. A Johannesburg e a Siracusa. Il modello anglosassone del network The Hub è stato replicato in Italia, su scala nazionale, da Massimo Carraro e Laura Coppola che hanno fondato la rete Coworking Project con la formula del franchising: oltre settanta sedi in una quarantina di città. A partire da Milano dove in Via Ventura, nel primo coworking creato in Italia, adesso lavorano, fianco a fianco, architetti, scrittori, programmatori di software e grafici della pubblicità. Dove l’avvocato divide l’ufficio con il commercialista e insieme trovano nuovi clienti, e lo sceneggiatore sorseggia un caffè alla macchinetta con l’ingegnere navale. Il costo base per una postazione di lavoro è di 200 euro al mese più Iva e comprende tutti i servizi, dai dispositivi wi-fi alla portineria, dalla pulizia dei locali al riscaldamento. Il pc e il cellulare bisogna portarli da casa, il subaffitto è rigorosamente vietato.
Con una sana retorica da nuovo capitalismo, i due soci del Cowo hanno scritto anche il manifesto della loro attività, annunciando che «la relazione viene prima del profitto» e Massimo compare in un video su YouTube nel quale dice: «Io esisto solo se ci siete voi, se riusciamo a stare insieme. Senza la comunità, non siamo nulla».
Ma è a Brescia, in uno degli epicentri delle fabbriche italiane che non muoiono mai e si rinnovano continuamente, che il coworking in versione nazionale ha fatto il suo salto di qualità. Unico anche rispetto alle invenzioni di americani e inglesi, considerati sempre all’avanguardia quando si tratta di nuovi stili di vita e di lavoro. Tre ventenni, invece di iscriversi al club dei 50 000 giovani italiani emigrati all’estero perché il loro Paese non riconosce né merito né opportunità, si sono inventati il Talent Garden, il giardino dei talenti. Scrivanie in cartone pressato, servizi Internet all inclusive, megaschermo con Xbox, la console per videogiochi, e biliardino: il coworking in versione bresciana, a disposizione di liberi professionisti del web, è uno spazio di 750 metri quadrati di uffici aperti 24 ore su 24 e distribuiti in 56 postazioni di lavoro, offerte in affitto a 250 euro al mese. Spiega Davide Dattoli, ventenne, cofondatore di Talent Garden: «Tanti giovani talenti cercano di dare vita alle loro idee e di realizzare i loro sogni provando a lavorare completamente isolati, magari in uno scantinato della propria casa. Noi abbiamo aperto un luogo fisico per ospitare persone capaci, che hanno voglia di condividere un’ambizione professionale e possono lavorare liberamente a ciò che desiderano. Perché abbiamo scelto Brescia? Per la sua vocazione di territorio ideale dell’impresa, della fabbrica, del fare insieme».
ESPERIENZE DI COWORKING IN ITALIA – Tra le scrivanie del giardino dove nascono i talenti lavorano, gomito a gomito, idea con idea, programmatori, grafici, fotografi, videomaker, web designer. La loro comunità è fondata su coworking e copassion, la condivisione di lavoro e passione, con la prospettiva di arrivare, insieme, lontano, molto lontano. Alessandra, diplomata all’Accademia di Belle Arti, realizza siti Internet mescolando due saperi, il design e la tecnologia: «Per qualche tempo ho lavorato in casa, ma mi sentivo frustrata, sola, senza entusiasmo. Con il Talent Garden ho scoperto il piacere di stare insieme, scambiando conoscenze e aggiornamenti con altri ragazzi della mia età. Noi facciamo parte del popolo delle partite Iva, abbiamo capito che le opportunità le dobbiamo andare a cercare, nessuno ce le regala, specie in un mercato del lavoro così rigido come in Italia. E allora ci proviamo con un progetto visionario, come quello di tanti imprenditori del secolo scorso: vogliamo trasformare la nostra passione collettiva in una nuova realtà industriale». Qui nel Bresciano le comunità del capitalismo glocale, lavoro e vita, fabbrica e identità, territorio e mercato, con reti lunghe che arrivano ovunque nel mondo, sono classificate sotto la voce «Distretti» e prendono il nome dai prodotti che esportano: rubinetti e casalinghi a Lumezzane, sedie e mobili a Ospitaletto, armi in val Trompia. È un’Italia che non si è mai fermata, neppure nella nebbia della recessione, dove il gruppo di Talent Garden, partendo dal coworking, intende aggiungere un tassello all’universo di Internet creando così il primo distretto web made in Italy, una sorta di Silicon valley bresciana. Un’utopia giovanile? Si vedrà, ma intanto questo sogno è una boccata d’aria, un vento fresco della nuova civiltà dello stare insieme. E una conferma del tramonto dell’egoismo.
Brano tratto da L’egoismo è finito di Antonio Galdo (Einaudi 2012).