Il partito dello spreco

La discussione sul presunto partito del Sud, che in questi giorni tiene banco nel dibattito politico, gira tutta attorno a un punto: la spesa pubblica. Riducendo all’osso la valanga di statistiche si puo’ concludere che il divario tra le regioni del Nord e quelle Sud, in termini di spesa pro-capite complessiva dello Stato e degli […]

La discussione sul presunto partito del Sud, che in questi giorni tiene banco nel dibattito politico, gira tutta attorno a un punto: la spesa pubblica. Riducendo all’osso la valanga di statistiche si puo’ concludere che il divario tra le regioni del Nord e quelle Sud, in termini di spesa pro-capite complessiva dello Stato e degli enti locali, e’ stabilmente attorno ai venti punti. Lo squilibrio c’e’ ed e’ aggravato dal fatto che la coperta dei fondi disponibili, in tempi di crisi, e’ sempre piu’ corta. Ma si puo’ misurare la spesa pubblica soltanto attraverso criteri quantitativi? E’ giusto chiedere piu’ risorse quando si sprecano? A ben guardare i dati, per esempio, si scopre che una parte della differenza e’ assorbita dal costo del personale pubblico che nel Mezzogiorno e’ molto piu’ alto, anche perche’ tra precari, lavoratori socialmente utili, personale reclutato con varie forme di sussidi, nel Sud si e’ formato un vero ceto sociale. Parassitario, clientelare, indisponibile a qualsiasi offerta di lavoro fondata sul criterio della mobilita’. E’ solo un esempio che dovrebbe fare riflettere sul vero punto di debolezza di questa vertenza nel nome degli interessi delle popolazioni meridionali: nel Sud la spesa pubblica e’ quasi sempre a pioggia, inefficace e inefficiente. Dunque indifendibile.

Certo, non esiste un’esclusiva meridionale allo spreco con le casse dello Stato, dell’Europa e delle amministrazioni locali; quando si tratta di gettare i soldi pubblici dalla finestra l’Italia e’ molto piu’ unita di quanto possa sembrare. Eppure, da meridionali, dobbiamo riconoscere che se oggi i conti non tornano e’ anche perche’ abbiamo collezionato un elenco troppo lungo di spese inutili. Nel Nord aspettano da anni la BreBeMi, un asse viario strategico per le imprese e per i lavoratori che devono raggiungere le fabbriche; nel Sud il cantiere stradale piu’ simbolico e’ la via crucis della Salerno-Calabria. Doveva costare 2,9 miliardi di euro; adesso non basteranno 10 miliardi di euro. Intanto, in queste zone non esiste un’impresa (dico una) per la fornitura del calcestruzzo che sia in regola con la legge e sessanta aziende, subappaltatori locali, hanno appena ricevuto la revoca del certificato antimafia: la malavita nel Sud e’ in prima fila quando si tratta di spartirsi appalti pubblici. A Brescia il termovalorizzatore lo hanno costruito quindici anni fa, in Campania nello stesso arco di tempo un fantomatico Commissariato per l’emergenza dei rifiuti ha ingoiato due miliardi di euro, con i quali di impianti di smaltimento della spazzatura se ne potevano costruire sette. In Sicilia sono stati finanziati una decina di progetti per nuovi aeroporti, in Calabria invece si sono specializzati nella costruzione di dighe dove non arriva l’acqua. A Palermo spendono quasi 4 miliardi di vecchie lire per un parco di auto ecologiche, che pochi anni dopo rivendono per 100 euro ciascuna; a Bari con i fondi europei si pagano i costi del giornale del piano strategico dell’area metropolitana. Arrivano le classifiche sulle universita’ e scopriamo che nella prima parte, tra le piu’ virtuose, ci sono quelle del Nord, nella seconda, nel girone degli spreconi, compaiono invece gli atenei del Sud. E lo stesso divario riguarda gli ospedali, le scuole, gli asili, la fornitura dei servizi pubblici.

Fino a quando la classe dirigente meridionale, e non mi riferisco solo a quella politica, non diventera’ piu’ responsabile e meno parassitaria, qualsiasi battaglia in Parlamento o attraverso le interviste sui giornali, dovra’ fare i conti con un tallone d’Achille che rischia di renderla poco credibile oppure di ridurla a una lotta di potere per la gestione dei soldi pubblici. Quanto poi allo sbocco politico della vertenza, gli scontenti all’interno della maggioranza potrebbero dare un contributo molto importante all’evoluzione, ancora troppo nebulosa, del Pdl. Il federalismo fiscale ormai e’ una realta’, e gia’ oggi la quota di tributi gestiti dagli enti locali supera il 20 per cento del totale: ci sono, dunque, i presupposti anche di politica economica per immaginare un partito federalista, organizzato con una forte autonomia territoriale. Un partito nel quale il Sud avrebbe tutto da guadagnare, perche’ una maggiore responsabilita’ locale, e non solo l’esercizio del potere, rappresenterebbe un volano per l’affermarsi di nuova classe dirigente e di una democrazia piu’ solida, in grado di crescere dal basso e non di alimentarsi soltanto attraverso i meccanismi oligarchici della cooptazione. Questa sarebbe una bella battaglia per il Mezzogiorno, e anche un’occasione per avere le carte piu’ in regola quando bisogna sedersi ai tavoli dove si decide il percorso geografico della spesa pubblica.

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