TRAFFICANTI DI DROGA – Il ministro Beatrice Lorenzin, con il suo tradizionale e simpatico sorriso, parla di «un buon risultato e di una legge equilibrata». Beata lei. Il decreto sugli stupefacenti approvato alla Camera, modificando la legge Fini-Giovanardi (tra l’altro bocciata da una sentenza della Corte Costituzionale) in realtà non rende affatto né allegri né convinti i principali attori della lotta contro il gigantesco mercato della droga in Italia: gli inquirenti e le forze dell’ordine. E tantomeno tranquillizza milioni di famiglie esposte, con figli adolescenti, ai rischi dei consumi di droga che intanto dilagano, con un diffuso spaccio perfino davanti ai cancelli delle scuole. La sensazione, documentata da numeri e fatti, è che si stia aprendo un varco, una voragine, a favore degli spacciatori, più grandi che piccoli, fino a incentivare questo tipo di attività criminale rendendola più conveniente e innanzitutto meno rischiosa rispetto ad altri settori dell’universo fuorilegge.
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DROGHE LEGGERE E PESANTI – Prescindiamo in questa analisi, dunque, dall’infinito dibattito sui livelli di pericolosità delle cosiddette “droghe leggere”, nuovamente separate da quelle “pesanti”. Sappiamo bene che il tema divide, anzi spacca, forze politiche, scienziati, associazioni di volontari impegnati a contenere i danni delle tossicodipendenze, guru e predicatori di varia provenienza. E’ un dibattito nel quale mancano spesso sia la ragionevolezza sia l’onesta intellettuale, mentre dilaga l’ideologia a buon mercato, compresa quella tanto gradita ai registi del mercato della droga. E consideriamo uno scandalo, perché i numeri lo certificano, il fatto che le carceri italiane siano imbottite di uomini e donne finiti in galera (21.285 soltanto nel 2012) per reati connessi all’uso di sostanze stupefacenti. Come è diventata scandalosa la solitudine della famiglie, dei genitori, madri e padri, di fronte al dilagare di bande di spacciatori che presidiano scuole e quartieri distribuendo ai ragazzi droghe come se fossimo a un mercatino a chilometro zero. Se ci pensate, un doppio spreco, di vite in questo caso: da un lato troppa gente in carcere inutilmente, dall’altro troppi trafficanti impuniti e liberi di fare il comodo loro.
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MERCATO DELLA DROGA – Concentriamoci invece su due punti, quelli che mettono a rischio, a serio rischio, la lotta contro i mercanti della droga, e della morte, incentivati dai buchi neri del provvedimento al loro lucroso commercio. Lo spaccio di droghe leggere viene punito, con le nuove norme, con una condanna da 2 a 6 anni. Ciò significa che se l’autore del reato è un incensurato, il rischio che corre è molto basso, inferiore a quello relativo a un furto, e comunque esclude la detenzione. Un criminale che importa 1.000 chili di hashish, pari a un valore di circa 10 milioni di euro (quanti furti bisogna fare per arrivare a questa cifra?), a questo punto può mettere nel conto della sua criminale scommessa una sorta di impunità. Non solo. Se dalle grandi quantità passiamo al piccolo spaccio, che spesso avviene all’interno di enormi reti di distribuzione della droga, la voragine si apre nel nome del concetto, scolpito in un emendamento del testo, dei «fatti di lieve entità». La Fini-Giovanardi prevedeva pene da 1 a 6 anni, il nuovo decreto invece abbassa le soglie da un minimo di 6 mesi a un massimo di 4 anni. Ciò significa che nel caso del piccolo spaccio non scatta più, mai più, neanche quando gli investigatori e gli inquirenti hanno la sensazione di trovarsi di fronte a un’organizzazione criminale, l’obbligo dell’arresto in flagranza che pure è un buon deterrente per fermare la catena del commercio di droga. E il piccolo spacciatore può anche cavarsela, la materia dei «fatti di lieve entità» è tutta a discrezione del magistrato, con la conversione delle pena in una multa in denaro. Risultato: il commercio della droga venduta in strada, quello che più cattura i giovani e più alimenta un mercato gonfiato dalla domanda di 4 milioni di italiani, diventa impunito. Semmai per lo spacciatore la pratica si chiude pagando un ticket, come in un ricovero ospedaliero.
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DROGA A USO PERSONALE – Il secondo punto, in Italia spesso i più ampi varchi dell’illegalità si aprono grazie a poche parole di tante leggi, ruota attorno al concetto di «uso personale» (ed alle sue varie, possibili interpretazioni), che non prevede conseguenze penali. La Fini-Giovanardi incardinava «l’uso personale» all’interno di una serie di parametri quantitativi, distinti a secondo del tipo di stupefacente, dalla cannabis alla cocaina. Con le nuove norme, invece, diventano decisivi altri fattori. Per esempio il frazionamento delle dosi (la divisione dei quantitativi lascia supporre un uso tutt’altro che «personale» della droga) o le modalità di confezionamento della sostanza (l’involucro di cellophane farebbe pensare a uno spaccio più che a un «uso personale»). Ma una volta che non esistono più criteri certi, chi e come decide sui criteri discrezionali che individuano la categoria «uso personale»? I magistrati. E qui la strada della legalità, paradossalmente, diventa ancora più complicata, considerando, per esempio, alcuni precedenti molto significativi, che rendono bene l’idea di quali varchi si stanno aprendo con il decreto approvato alla Camera e trasferito al Senato per il voto definitivo di conversione in legge. Prima della Fini-Giovanardi, e dei paletti quantitativi per stabilire l’uso personale della droga, in Italia si sono moltiplicate le sentenze che svuotavano indagini, magari durate anni, e interi processi intitolati alla lotta contro il mercato degli stupefacenti.
LOTTA AI MERCANTI DELLA DROGA – La Corte di Cassazione aveva dato una prima, importante spallata, introducendo, attraverso una sua sentenza, un principio piuttosto singolare: tocca al pubblico ministero, e cioè all’accusa, «dimostrare un uso diverso da quello personale». Sulla scia di questa sentenza alcuni tribunali di Corte di Appello hanno allargato le maglie di una possibile impunità. Si è arrivati al punto che uno spacciatore, trovato in possesso di 1.620 chilogrammi di cocaina acquistata in Colombia, con la quale poteva confezionare 5.500 dosi, è stato prima arrestato, poi condannato a otto anni di reclusione e poi assolto, appunto in Corte di Appello, con la formula in base alla quale «il fatto non costituisce reato». Ecco dove può portare, se non ci saranno correttivi sostanziali in Senato, la nuova legge sulle droghe firmata dal governo Renzi: a un capolinea chiamato Fine della lotta ai mercanti della droga. Leggera o pesante che sia.