Stipendi PA: il vero spreco è la giungla retributiva

Un taglio agli stipendi della pubblica amministrazione urbi et orbi non basta. Bisogna misurare gli stipendi e le carriere sulla base dei risultati del lavoro. Ma in Italia sembra una missione impossibile...

Adesso che ai vertici della pubblica amministrazione è arrivata, tra mille mugugni e proteste, la scure dei tagli orizzontali, si scopre l’uovo di Colombo: la giungla retributiva. E qui le cose si complicano perché non basta un taglio agli stipendi urbi et orbi, che rischia comunque di colpire anche i migliori servitori dello Stato, ma bisogna andare a individuare i rami della giungla cresciuta nell’ombra dell’Italia corporativa dove si scrivono montagne di leggi e poi, innanzitutto con la complicità dei sindacati, si procede con le relative eccezioni. Senza mai riconoscere il merito e, al contrario, penalizzare chi si specializza nel mestiere del fannullone a spese di Pantalone.

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Partiamo, per esempio, da un settore molto caldo e molto preoccupato per i colpi di forbice del governo: la magistratura. È vero che toccare gli stipendi dei magistrati può rappresentare una spallata alla loro autonomia, ma è altrettanto vero che gli automatismi nelle carriere e negli aumenti degli stipendi, a colpi di leggi votate in Parlamento, sono maturati spesso in un clima non proprio da equilibrio dei poteri dello Stato. Alla vigilia di una di queste votazioni, grazie alle quali la carriera di una magistrato è assolutamente sganciata dalla sua professionalità, Flaminio Piccoli, all’epoca capogruppo alla Camera della Democrazia cristiana, convocò i deputati della Dc e disse: «Cari amici, se questa legge non passa, quelli ci arrestano tutti». E la legge passò.

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Non ha mai fatto strada, invece, l’idea che anche nella magistratura si possano misurare gli stipendi e le carriere sulla base dei risultati del lavoro. In modo semplice e trasparente come ha chiesto, senza mai essere ascoltato, un magistrato di valore, Gherardo Colombo, uno dei protagonisti della stagione di Mani Pulite, oggi fuori dai ruoli della magistratura: «Nella nostra categoria, come in tutte le altre, ci sono quelli che lavorano poco e male, e si possono individuare. Basta valutare con attenzione e con forza i risultati dell’attività di un magistrato, e rimuovere il macigno culturale in base al quale in Italia, specie nella sfera pubblica, si avanza senza meriti». D’altra parte, viviamo in un Paese dove oggi si contano 3,2 milioni di liti penali in corso di giudizio e 5,4 milioni di cause civili pendenti. Con questi numeri possiamo dire che la giustizia, intesa come funzionamento di una macchina che incide direttamente sulla vita dei cittadini, in Italia non esiste. E se questo non è solo per colpa dei magistrati che lavorano male, bisogna riconoscere che nessuno paga mai il conto di un’inefficienza così grave.

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Ci sono poi gli anomali divari nelle stesse fasce della pubblica amministrazione, laddove compare una più efficace pressione dei sindacati di categoria. Come nel caso degli avvocati: un dirigente dell’Avvocatura dello Stato incassa 275mila euro l’anno, ben più del doppio di un suo collega della Polizia che si ferma a 103mila euro. Un caso di scuola è quello dell’avvocato Mario Cartasegna, salito agli onori della cronaca grazie al fatto che, pur lavorando in un comune che non è certo una metropoli mondiale, Perugia, incassava uno stipendio annuo di 220mila euro (i suoi colleghi, nella media, si fermano alla metà) ed è andato in pensione con un assegno annuo di 637mila euro, circa 24mila euro netti al mese. Tutto regolare, pare. E lo stesso Cartasegna ha spiegato il suo Bingo con un certo stupore: «Mi sono ritrovato in questa cosa senza neanche crederci….».

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Un’anomalia non isolata nella pubblica amministrazione, se si pensa che la sciagurata Atac di Roma, gli 85 dirigenti della società guadagnano stipendi compresi in una forchetta che varia da 80mila a 325mila euro l’anno. Una differenza pari a tre volte. Come, tornando ai vertici dello Stato, un Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica è riuscito a guadagnare 460mila euro l’anno, pari a dieci volte lo stipendio del suo superiore, il ministro della Difesa. Infine, la giungla arriva anche nella scuola.

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Anche qui premiare il merito e colpire chi non lavora, a vantaggio innanzitutto degli scolari e delle loro famiglie, è una missione impossibile. Per provarci l’assessore all’Istruzione del comune di Modena, Adriana Querzè, ha tentato una strada veramente temeraria: ha preso alcune scuole dell’infanzia, le ha sfilate dalla diretta competenza del comune e le ha messe in una fondazione pubblica, Cresce@Mo. Tutto per avere le mani libere nella selezione dei supplenti, senza pagare dazio alle organizzazioni sindacali, e nella valutazione degli insegnanti, attraverso un organismo indipendente. Apriti cielo. Contro l’assessore si è scatenata la guerriglia sindacale, e adesso la Querzè si ritrova candidata al posto di sindaco di Modena (si vota a maggio, con le europee) con un potente nemico che rema contro nella sua campagna elettorale: il sindacato, appunto.

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Ma la giungla retributiva non è nata qualche anno fa. Ermanno Gorrieri, uno dei fondatori della Cisl e ministro del Lavoro, cattolico di grande tempra etica e civile, scrisse un libro nel lontano 1972. Sapete come si intitolava? La giungla retributiva. Forse è il caso che qualche ministro del governo Renzi lo legga.

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