Scherzava, il grande Diego Armando Maradona quando domenica sera, in diretta, davanti a 2.919.000 telespettatori ha mandato al diavolo, con un plateale gesto dell’ombrello, lo Stato italiano in versione Equitalia. Scherzava, così dice lui dopo che la sua performance a Che tempo che fa, il regno dell’ottimo Fabio Fazio, ha sollevato un vespaio di polemiche da finimondo Rai. Scherzava, ma non poteva e non doveva farlo. Semplicemente perché il suo debito con il fisco, 39 milioni di euro, non è una barzelletta e la sua autodifesa in tv, anche se avesse un minimo di fondamento, in questo modo si è trasformata in un odioso privilegio riservato, senza un briciolo di contraddittorio, a un campione dello sport, ormai entrato nella leggenda, che grazie al suo talento si sente al di sopra della legge e non si preoccupa di protestare con un comportamento al di sotto della decenza. Milioni di italiani vorrebbero chiudere la loro partita con le tasse, evase o pagate, con il gesto dell’ombrello, e invece saldano i debiti oppure difendono le loro ragioni con gli strumenti previsti dallo Stato di diritto, anche se lo sentono, e non sempre a torto, vessatorio e ingiusto. Qualcuno, purtroppo, ha perfino scelto il finale di match più tragico: il suicidio.
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Maradona dice di non essere un evasore fiscale. Ma una valanga di sentenze, dal 2001 al 2013, dalle sedi della giustizia tributaria alle aule della Corte di Cassazione, dal primo all’ultimo grado di giudizio, lo smentiscono. Il suo imponente debito con l’erario risale a venticinque anni fa ed è andato maturando fino a 39 milioni non per effetto di una persecuzione, ma solo perché ai redditi non dichiarati si sono sommati, accumulandosi, gli interessi. Un effetto moltiplicatore che il più completo giocatore della storia del calcio avrebbe potuto dribblare con una semplice mossa: si chiama “accertamento con adesione”. Significa, in pratica, riconoscere un debito fiscale, nei tempi che la legge prevede e non sulla base di un umore, di un capriccio, di una furbizia, e beneficiare così di una significativa riduzione delle sanzioni (circa un terzo) e di una rateizzazione dei pagamenti (fino a 12 rate trimestrali). Lo hanno fatto altri calciatori, come Marco van Basten e Kakà, altri campioni dello sport mondiale, vedi il motociclista Valentino Rossi, e lo hanno fatto tante potentissime banche, come Unicredit e Intesa San Paolo, che pure non condividevano le contestazioni del fisco.
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Maradona dice di amare ed essere amato dalla gente. Ha ragione, e la sua planetaria popolarità l’ha conquistata e meritata sui campi di calcio dove è stato un calciatore unico, un artista del pallone e dello spettacolo, un’icona dello sport che ci ha fatto sognare anche per la sua empatia, per il suo calore, per i suoi guizzi geniali come i goal che metteva a segno. Questo patrimonio umano e calcistico, vale rispetto e riconoscenza, oltre che meritati guadagni per il suo titolare, ma non contempla l’impunità né tantomeno una sorta di immunità fiscale. Né si può pensare che la popolarità ancora integra di Maradona gli possa consentire di utilizzare il servizio pubblico, la tv di Stato, che in questo caso non si chiama Equitalia ma Rai, per insultare, anche solo con un gesto, chi sta lavorando nell’interesse di tutti gli italiani, campioni e anonimi cittadini. E un minimo di lucidità professionale, oltre che di rigore (non calcistico), avrebbe voluto che Fazio, un altro campione nel suo campo di calcio, il format dei suoi programmi politicamente corretti, non rimanesse con il sorriso stampato in faccia di fronte all’evidente fuori gioco di Maradona. Bastava una battuta, un colpetto, con la sua ironia, per mandarlo dove meritava: negli spogliatoi.