Vi racconto gli euroscettici che (forse) salveranno l’Europa dal baratro

Un terzo degli italiani è favorevole all'uscita dall'euro, il 60 per cento non ha fiducia nell'Europa. Però abbiamo un'occasione per fermare la rabbia: non sprechiamola.

EUROSCETTICI – Euroscettici, unitevi. Parafrasando la mitologia del compagno Marx, la post fascista Marine Le Pen si gode il suo trionfo alle amministrative in Francia, dove il Fronte popolare ha conquistato un posto al ballottaggio in 229 città, alzando immediatamente il tiro delle sue ambizioni. All’orizzonte di una donna-leader, capace di polverizzare in poco tempo l’eredità ingombrante del padre Jean-Marie e di sparigliare il tavolo della politica nel vecchio continente, c’è l’appuntamento con le elezioni europee (25 maggio), quando il ciclone dell’euroscetticismo non sarà più circoscritto alla Francia ma diventerà una scossa distribuita in tutti i paesi dell’Unione, Italia compresa ovviamente.
Ma l’euroscetticismo, che incorpora la febbre del populismo e del nazionalismo e in qualche modo incanala più schegge in un unico sisma politico, ha diverse declinazioni, da decifrare anche con l’aiuto dei sondaggi e partendo dall’assioma che siamo arrivati alla resa dei conti, certificata dal voto democratico, dell’Europa in corto circuito. Quella che non scalda né i cuori né le teste, quella che nella sua incompiutezza alimenta solo rabbia sociale e rigetto, quella che i cittadini, sudditi e non sovrani, sentono come il luogo di un potere burocratico e finanziario, degli sprechi del denaro pubblico, dell’inettitudine delle leadership politiche, e di un’ingiustizia, poveri sempre più poveri e ricchi sempre più ricchi, ormai intollerabile.

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ELEZIONI EUROPEE – L’ultimo PollWatch 2014, per dare un’idea del terremoto in arrivo, prevede nel nuovo Europarlamento un testa a testa tra socialisti (209 seggi) e popolari (202 seggi) per un primato che non vale un fico secco, in quanto con questi numeri sull’asse Strasburgo-Bruxelles non ci sarà alcuna maggioranza stabile. E Pse e Ppe potranno solo dare vita a un patto da larghe intese europee per provare ad arginare la valanga antieuropea, che si è gonfiata trasversalmente, da sinistra e da destra, dal Sud al Nord dell’Europa, dalla lista intitolata al greco Tsipras all’Fpo dell’austriaco Heinz Christian Strache.
Lo stesso discorso trasversale, in termini di numeri, si applica ai ceti sociali che l’euroscetticismo-populismo-nazionalismo arriva ormai a rappresentare. Non siamo in presenza di minoranze ideologiche, facili da emarginare, ma a interi pezzi del ceto medio impoverito, di strati popolari in ginocchio sotto l’uragano della Grande Crisi, di disoccupati (quasi) ovunque in aumento, di giovani a caccia di una via d’uscita dalla precarietà e dalla mancanza di lavoro, di artigiani e piccoli imprenditori a corto di ossigeno con le banche che chiudono borse e crediti.

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IL SONDAGGIO – Il risultato è che in Italia, oggi, secondo un sondaggio di Demopolis il 58 per cento dei cittadini, intanto derubati della loro sovranità, considera negativi gli effetti della moneta unica e il 33 per cento degli elettori risulta favorevole perfino all’uscita dall’euro: erano appena il 12 per cento cinque anni fa. E si tratta di quasi la metà degli elettori del Movimento Cinque Stelle e di Forza Italia, i due partiti più forti nel perimetro dell’euroscetticismo made in Italy, dove sono inchiodati anche la Lega Nord e i Fratelli d’Italia, ma perfino il 10 per cento degli elettori del Pd risulta contrario alla moneta unica. Sommando i vari spezzoni di partiti e movimenti euroscettici italiani, e stando alle previsioni dei maggiori istituti di ricerca, l’area politica dell’euroscetticismo in Italia veleggia attorno al 35-40 per cento.

SCARSA FIDUCIA – L’uscita dall’euro non è nulla di più di uno slogan, con grande appeal elettorale in questo momento, e anche i bambini hanno capito che senza la moneta unica gli italiani si ritroverebbero non impoveriti, ma pezzenti, con una svalutazione dei loro risparmi pari ad almeno il 50 per cento. Molto più seri, invece, sono altri contenuti programmatici che si rovesciano nella valanga dell’euroscetticismo. Per coglierli, basta ricostruire l’efficace campagna elettorale di Marine Le Pen che ha puntato, con energia modernizzatrice e con estrema spregiudicatezza, sulle quattro I: insicurezza, immigrazione, imposte e ingiustizie. Parole su misura per intercettare l’umore popolare e cioè il senso di smarrimento e l’indignazione degli elettori. Non a caso, spostandoci nel nostro Paese, i due sentimenti prevalenti nei confronti della politica, secondo un sondaggio della Swg, sono la rabbia (40 per cento degli interpellati) e il disgusto (38 per cento), mentre il 60 per cento degli italiani ha poca, o pochissima, fiducia nell’Unione europea e nelle sue istituzioni politiche.
Le quattro I della signora Le Pen trovano una loro specifica traduzione nei vari paesi dell’Unione, anche se alla fine portano tutte nella stessa direzione: l’euroscetticismo, appunto. In Olanda, il PVV (Partito per la libertà) è dato quasi al 20 per cento grazie alle sue battaglie contro l’immigrazione di matrice islamica; in Belgio il partito di destra “Interesse fiammingo”, al confine tra localismo e xenofobia, è all’11 per cento; in Germania, la formazione Alternativa per la Germania (secondo il settimanale Der Spiegel è attorno al 7 per cento) non mostra i muscoli né del nazionalismo né della xenofobia, ma chiede l’uscita dall’Eurozona dei paesi del Sud dell’Unione, mentre in Inghilterra l’Ukip, in vantaggio secondo alcuni rilevazioni su laburisti e conservatori, è più esplicito nel chiedere la fine dell’euro punto ed a capo.

DOPPIA SPERANZA – Nel buio di questo tunnel c’è però una luce. Anzi, una doppia speranza se vogliamo essere più precisi. Innanzitutto la valanga dell’euroscetticismo, specie dopo il voto in Francia, è ormai scontata, perfino metabolizzata dai vecchi partiti. Dunque, di fronte alla fine di vecchi equilibri e all’implosione di un’Europa politica che non c’è mai stata veramente, potremmo assistere a un salutare bagno nella realtà, al confine delle sabbie mobili della stessa sopravvivenza dell’alleanza. E questo potrebbe spingere l’Unione a passi concreti verso obiettivi realistici e non utopistici (vedi Stati Uniti d’Europa): dal coordinamento delle politiche economiche all’armonizzazione fiscale, dalle azioni comuni per la crescita a quelle per l’occupazione, dalla sicurezza alle scelte decisive nel campo dell’energia. Insomma: le risposte, non in difesa ma in attacco, alle quattro I messe sul tavolo da Marine Le Pen. La seconda speranza, e qui la Francia è veramente un laboratorio di grande interesse, riguarda la modernizzazione della (vecchia e logora) Destra europea e della (vecchia e logora) Sinistra europea. La signora Le Pen ha infatti sdoganato un pezzo importante della Destra, facendolo uscire dal recinto degli esclusi: e questo potrebbe cambiare la fisionomia di una parte del campo della politica francese ed europea. Così come dal versante opposto la Lista Tsipras costringerà la Sinistra a fare i conti con una sua nuova identità. Due speranze, lo ripeto, e nessuna certezza: ma meglio di una resa incondizionata, a mani alzate o giunte, di fronte alle macerie del terremoto dell’euroscetticismo-populismo-nazionalismo.

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