Longevità italiana: perché in Campania si vive meno?

Lo dicono i dati appena annunciati dal ministero della Salute: i cittadini campani vivono mediamente 18 mesi in meno rispetto a quelli delle altre regioni italiane. Significa che in Italia si è rotto qualcosa, in termini di parità, nel campo dei diritti essenziali della persona

LONGEVITA’ ITALIANA – Adesso lo sappiamo in modo ufficiale: in Campania si vive meno. Un anno e mezzo, diciotto mesi tondi, di minore longevità rispetto alle altre regioni italiane, secondo i dati appena annunciati dal ministero della Salute: numeri con i quali siamo così passati dal «Vedi Napoli e poi muori» al «Vivi a Napoli e muori prima». Le statistiche sulla ricchezza o sulla povertà possono avere margini di opinabilità, basta pensare a che cosa si nasconde dietro al fenomeno del sommerso e dell’evasione, ma quando si tratta di cifre che certificano la vita e la morte delle persone non ci sono margini di discussione e siamo nel campo dell’incontrovertibile, del certo punto e a capo.

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ASPETTATIVA DI VITA ITALIA – Se un cittadino nato e cresciuto in Campania è condannato a vivere meno, molto meno, di un marchigiano o di un lombardo, significa che in Italia si è rotto qualcosa, in termini di parità, nel campo dei diritti essenziali della persona. Possiamo alimentare tutte le discussioni pubbliche e private del mondo sulle controverse tappe della storia dell’unità d’Italia, sull’antropologia del popolo meridionale, sui vizi di una società fragile e familistica e di una classe dirigente porosa e inetta, ma di fronte alla certezza scolpita nei numeri del ministero della Salute, restano solo due domande. È accettabile un Paese dove il divario tra i cittadini, prima che i redditi e il lavoro, riguarda direttamente la vita delle persone? Ed è possibile accusare di vittimismo chi denuncia questa sperequazione, questa distanza rispetto al bene più prezioso e più unico a disposizione di un uomo? Le risposte, e qui è sufficiente l’esercizio del buon senso, sono ovvie: no.

GLI SPRECHI DEL FEDERALISMO – L’ultimo grande inganno per il Sud, una delle tante bugie nazionali con le quali siamo stati abituati a convivere, si chiama federalismo. Adesso finalmente, anche grazie alla denunce della Corte dei Conti, abbiamo capito che un ventennio di federalismo straccione e truccato ha consegnato agli italiani, e in particolare ai meridionali, il frutto avvelenato di un gioco di scatole cinesi. Sono aumentate le tasse locali (cinque volte rispetto al punto di partenza) ed è crollata la qualità dei servizi essenziali, a partire dalla tutela della salute, quelli che poi incidono direttamente sulla longevità della popolazione. Ha dilagato una corruzione sul territorio elevata a sistema, a partire dagli sprechi e dalle clientele nei bilanci delle amministrazioni regionali, e si è azzerata la spinta del motore pubblico rispetto all’iniziativa privata, lasciando campo libero a un ceto parassitario trasversale, anche in termini di alleanze e di reciproche complicità, nei vari gironi della politica e della società.

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Adesso il nuovo governo sembra intenzionato, almeno dalle prime mosse, a fare ordine in questa giungla di cattiva amministrazione tagliando le gambe al federalismo che ha avvelenato i pozzi della spesa pubblica e riportando al centro della macchina dello Stato funzioni che riguardano proprio i diritti essenziali. Vedremo quali fatti seguiranno agli annunci e alle intenzioni. Intanto i cittadini della Campania possono e devono augurarsi una cosa: il taglio secco, netto, di tutti i sussidi parassitari, abbinato però a provvedimenti che mostrino, concretamente, come il governo intende mettere al centro dei suoi obiettivi la lotta a un divario, rispetto agli altri italiani, così evidente al crocevia tra il diritto alla vita (lunga) e la condanna alla morte (precoce).

da Il Mattino

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