Basta sprechi: finanziamento ai partiti, la lezione di Europa e Stati Uniti

Il nostro Paese ha molto da imparare: dall'Europa continentale, dal mondo anglosassone, dagli Usa. Per puntare, anche in Italia, a una politica trasparente, rendicontata e finalmente senza sprechi

da Il Mattino

In Europa come in America il finanziamento ai partitipubblico e privato  è regolato attraverso leggi molto rigorose. In Francia, ad esempio, lo Stato mette sul tavolo della politica 2,46 euro per abitante, rispetto ai 2,97 euro dell’Italia. Qui il sussidio annuale ai partiti, scolpito nella legge, è pari a 80,2 milioni di euro, ai quali bisogna aggiungere i rimborsi elettorali , con un limite di spesa di 38mila euro a candidato più 0,15 centesimi per ogni elettore della circoscrizione. E con due paletti importanti: un partito, per ottenere il finanziamento pubblico, deve conquistare almeno l’1 per cento dei voti, presentandosi in almeno 50 circoscrizioni, mentre il rimborso è assegnato ai singoli candidati purché abbiano superato il 5 per cento dei voti.

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In Germania, un altro paese con lo Stato generoso a proposito di costi della politica, i rimborsi elettorali rappresentano finanziamenti pubblici, proporzionali rispetto ai voti ottenuti dai partiti, e con un limite massimo di 133 milioni di euro l’anno. Alle elezioni del 2010 la spesa è stata di 130 milioni di euro, dunque sotto il tetto fissato dalla legge. I tedeschi, poi, pagano, di nuovo con la mano pubblica, l’attività delle fondazioni culturali di partito che ricevono finanziamenti globali (95 milioni di euro) e finanziamenti a progetto (233 milioni di euro), per un totale di 328 milioni di euro l’anno. In Germania non si bara al tavolo dell’incrocio tra politica e cultura, partiti e programmi, come invece è spesso accaduto a casa nostra. L’attività della Fondazione intitolata a Konrad Adenauer, padre della patria e cancelliere dal 1949 al 1963 si muove a 360 gradi: sono stati scritti tutti i programmi del centrodestra tedesco e sono stati allevati tutti i grandi leader dell’Unione cristiano democratica tedesca.

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Dall’Europa continentale passiamo al Regno Unito, ed entriamo così nel cuore della cultura politica anglosassone. In Inghilterra i finanziamenti pubblici hanno un ruolo assolutamente marginale, e sono riservati ai partiti di opposizione, per compensare, con l’aiutino dello Stato, i vantaggi che la maggioranza ricava dal fatto di essere al governo. Siamo cioè sotto l’incipit di una democrazia che si ispira a due paroline magiche: check and balance, cioè divisione dei vari poteri all’interno di uno Stato ed equilibrio tra loro e innanzitutto tra i partiti che si sfidano per conquistare il governo e il Parlamento. In totale, in Inghilterra, tra contributi per l’attività parlamentare, dotazione riservata al leader, soldi ai partiti per le spese di viaggio e finanziamenti alla Camera dei lord, lo Stato tira fuori circa 7,8 milioni di sterline. Tutti finanziamenti pubblici, ripetiamolo, concessi solo ai partiti di opposizione. Per il resto, la politica in Gran Bretagna è finanziata dai privati, persone fisiche e società, che fanno donazioni note, una per una, ai cittadini, e controllate da una speciale Commissione Elettorale. Per la campagna elettorale del 2010, i partiti inglesi hanno raccolto dai privati 26,3 milioni di sterline.

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La presenza dei privati, persone fisiche e aziende, domina il finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali negli Stati Uniti. Qui le leggi in materia sono tante, ma sempre semplici e chiare: per le elezioni locali, per esempio, ognuno dei 50 Stati americani ha le sue norme. Quanto invece alle elezioni nazionali, a partire dalle costosissime presidenziali, il cuore del finanziamento ai partiti ed ai candidati è rappresentato dai fundraiser, i raccoglitori di fondi, e dai Superpac, i comitati elettorali messi in piedi durante la campagna per l’elezione diretta del presidente degli Stati Uniti d’America. Negli Usa, la polemica sulla pressione delle lobby nel campo della politica, attraverso i generosi finanziamenti delle grandi società americane, è infinita. Si è aperta già alcuni anni fa, e non è mai terminata. La polemica, però, è sempre stata accompagnata da innovazioni concrete, perché gli americani hanno questo chiodo fisso in testa, il cambiamento e la modernizzazione, anche a proposito del sistema politico e degli strumenti per finanziarlo. Barack Obama è diventato presidente degli Stati Uniti per la prima volta, nel 2008, anche grazie a una svolta che ha saputo imprimere nel meccanismo della raccolta dei fondi. Non inventò nulla, ma semplicemente applicò alla politica il meccanismo del crowdfunding, cioè la raccolta di denaro attraverso la mobilitazione di sottoscrittori di piccoli finanziamenti. Tutto sul web. Risultato: nel 2008 Obama raccolse 500 milioni di dollari con il crowdfunding, creò un bilanciamento di risorse tra le lobby americane e i singoli cittadini, e utilizzò l’innovazione per moltiplicare la partecipazione popolare al fianco della sua battaglia politica.

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Da allora il crowdfunding è diventato uno strumento essenziale per il finanziamento dei partiti e in generale della politica in America. Una lezione che i tesorieri dei partiti italiani, oggi giustamente preoccupati per il taglio dei finanziamenti pubblici, dovrebbero semplicemente imparare a memoria ed applicare a tappeto nel nostro paese. Magari con energia politica e con trasparenza nell’uso delle risorse raccolte.

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