Casta 2 / Anche due stipendi per il deputato siciliano

Se si dimettono da sindaco del Comune o da presidente della Provincia mandano gli elettori alla urne e tradiscono la coalizione politica che li sostiene. Se lasciano lo scranno di deputato dell’Assemblea regionale della Sicilia rinunciano ad una indennità da 14mila euro mensili netti e a benefit vari che fanno invidia ai deputati del Parlamento […]

Se si dimettono da sindaco del Comune o da presidente della Provincia mandano gli elettori alla urne e tradiscono la coalizione politica che li sostiene. Se lasciano lo scranno di deputato dell’Assemblea regionale della Sicilia rinunciano ad una indennità da 14mila euro mensili netti e a benefit vari che fanno invidia ai deputati del Parlamento italiano e ai colleghi dei Consigli delle altre regioni d’Italia a statuto ordinario. Il dilemma lo risolvono rimanendo saldi su entrambe le poltrone, mezza giornata a Palazzo dei Normanni a Palermo sede dell’Ars, mezza giornata con la fascia tricolore di primo cittadino a due trecento chilometri di distanza.

A nulla è valsa la sentenza della Corte costituzionale numero 142 del 28 aprile del 2010 che, abrogando una legge regionale, ha stabilito che "le cariche di amministratore di enti locali, assessori compresi, con più di 20mila abitanti e di deputato regionale sono incompatibili e non possono essere in alcun modo cumulate".

A far dormire sonni tranquilli al sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca (Pdl); al presidente della Provincia di Caltanissetta, Giuseppe Federico (Mpa); al sindaco di Acicatena (provincia di Catania), Raffaele Giuseppe Nicotra (Pdl); ad Anna Maria Caronia (Udc), vice sindaco di Palermo; a Salvino Caputo (Pdl) e a Nino Dina (Udc), rispettivamente vicesindaco e assessore al Comune di Monreale, è una legge ovvero una "leggina" approvata a tamburo battente e con sostegno trasversale dall’Ars qualche settimana dopo che la Corte costituzionale fosse investita, il 20 gennaio del 2009, dal Tribunale di Palermo di verificare se il cumulo delle cariche fosse in linea con la Carta Costituzionale.

La "leggina" neutralizza la decisione della Corte Costituzionale rinviando nel tempo l’obbligo per gli "sdoppiati dell’Ars" di scegliere: stabilisce, infatti, che non è sufficiente una sentenza del giudice di primo grado per far far decadere il deputato recalcitrante ad osservare la legge; né una del giudice d’appello. Ci vuole una sentenza passata in giudicato: considerati i tempi della giustizia non meno di quattro, cinque anni, la durata dell’intera legislatura.
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Il primo firmatario della proposta di legge che poi è diventata la norma salvifica? Il sindaco di Messina, Giuseppe Buzzanca, a cui si sono accodati tutti coloro per i quali la pronuncia della Consulta sarebbe risultata indigesta. Se la leggina non fosse stata varata, non appena un qualunque cittadino avesse chiesto, attraverso quella che si chiama azione popolare, al Tribunale di rilevare l’incompatibilità, il deputato avrebbe avuto dieci giorni di tempo per rimuoverla. Non facendolo si sarebbe avventurato in un giudizio dall’esito scontato di decadenza da deputato regionale.

E, invece, le cose vanno diversamente: i ricorsi i cittadini i presentano, per la verità sempre su mandato di esponenti politici di parte avversa o dei primi dei non eletti della stessa lista che aspirano a prendere il posto dei compagni di formazione politica, ma se anche arrivano le sentenze che dichiarano l’incompatibilità non cambia nulla: ai deputati, infatti, basta proporre appello. Per paradosso, il ricorso e, quindi, la pendenza di un giudizio, si risolve a favore dello stesso deputato anche dinanzi alla Commissione "Verifica poteri" dell’Ars, organo investito del compito di stabilire se in capo ad ogni membro dell’Assemblea regionale permangano i requisiti di eleggibilità e compatibilità previsti dalla legge.

«La prassi vuole che si sospenda il giudizio finché non gli organi giurisdizionali, sovraordinati a noi, non decidono in via definitiva», spiega l’esponente del Pdl, Francesco Cascio, presidente dell’Ars e della Commissione "Verifica poteri", a chi lo sollecita sulla questione. Nonostante la Consulta sia stata netta a sancire l’incompatibilità? «Ci sono prassi e regole da seguire. Non abbiamo potere di vita o di morte sui nostri colleghi», sottolinea il vice presidente della Commissione, Giuseppe Arena, dell’Mpa. "E’ una prassi corporativa. Il giudizio dinanzi alla Commissione verifica dei poteri è autonomo rispetto a quello giurisdizionale. Altrimenti qualunque deputato può sfuggire al giudizio dei colleghi facendosi ricorso sotto mentite spoglie e creando un contenzioso ad arte, com’è peraltro accaduto", spiega Antonio Catalioto, l’avvocato che ha chiesto alla Consulta di pronunciarsi sulla legittimità della norma che consentiva il cumulo e che ora ha domandato all’organo garante della Costituzione anche di pronunciarsi sulla provvidenziale leggina. La decisione è prevista per il 4 ottobre

Il sindaco Giuseppe Buzzanca ha idee che sfidano la giurisprudenza costituzionale e assomigliano molto a quelle sostenute talora dal premier Silvio Berlusconi: «Quando sono stato eletto i cittadini sapevano che avrei ricoperto le due cariche e mi hanno accordato egualmente la fiducia. La mia legittimazione viene dal popolo. Non vedo perché dovrei dimettermi», sottolinea il sindaco di Messina. Che per la sentenza "elimina sdoppiati" perse il vicesindaco Giovanni Ardizzone dell’Udc e l’assessore alla Protezione civile, Fortunato Romano dell’Mpa: entrambi, infatti, si dimisero accettando spontaneamente il responso dei giudici costituzionali.

Le dimissioni da vice sindaco di Palermo le ha presentate il 20 ottobre del 2010, 6 mesi dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, anche Francesco Scoma, deputato di quella parte del Pdl vicina al vice ministro allo Sviluppo economico, Gianfranco Miccichè. Sensibilità istituzionale? «Le dimissioni erano comunque concordate, nell’ambito del riassetto della giunta palermitana. Faccio un passo indietro per dedicarmi, da oggi con ancora più attenzione, al mio mandato di parlamentare regionale al fine di essere presente e organizzare una dura opposizione nei confronti del governo della Regione, presieduto dal ribaltonista Raffaele Lombardo», spiegò Francesco Scoma. Sostituito sulla poltrona di vice sindaco della città guidata da Diego Cammarata da Anna Maria Caronia, a sua volta deputato dell’Ars e, secondo l’inascoltata Corte Costituzionale, "incompatibile".

 

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