Le alternative al petrolio avanzano anche nei paesi ai primi posti delle classifiche dei produttori, a partire dal cuore del mondo arabo. L’Arabia Saudita ha messo sul tavolo circa 100 miliardi di dollari, per il prossimo decennio, per investimenti in energie rinnovabili e in fonti alternative rispetto ai combustibili fossili. Dal fotovoltaico al geotermico, dal solare all’eolico: tutto si muove, in un paese dove il petrolio è la prima fonte dei ricavi di Stato e del prodotto interno lordo.
E proprio dalle preoccupazioni relative ai consumi di petrolio per uso domestico nasce la necessità di nuove politiche energetiche negli Emirati Arabi. Qui il trend demografico è previsto in forte crescita, il consumo energetico cresce a un ritmo dell’8 per cento annuo ed è previsto che triplicherà entro il 2032, l’anno-chiave dei progetti relativi allo sviluppo delle fonti alternative. In pratica gli arabi sono preoccupati per il doppio effetto che un’eccessiva dipendenza dal petrolio potrebbe avere sui conti pubblici: da una lato un aumento della domanda interna, e dall’altro versante una pericolosa contrazione della quota a disposizione delle esportazioni. In secondo luogo, anche in assenza di movimenti ambientalisti e di una pressione dell’opinione pubblica sensibilissima alle questioni energetiche, come vediamo nei paesi occidentali, anche nell’universo arabo la sostenibilità è entrata di diritto nell’agenda dei governi.
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Le nuove generazioni della popolazione degli emirati chiedono più qualità della vita e meno inquinamento, più sostenibilità e meno dipendenza assoluta dal petrolio. Assecondare queste richieste con scelte strategiche in linea con quanto avviene nel mondo occidentale, è considerato un fattore di coesione sociale, e quindi di stabilità in un mondo scosso dalle rivolte della primavera araba. Infine, l’estrazione del petrolio non si traduce sempre e comunque in alti livelli di occupazione: al contrario gli investimenti per le fonti alternative significano aperture di cantieri e impianti che daranno una forte scossa ai livelli occupazionali dei paesi arabi. Quanto alle tecnologia, gli arabi non badano a spese, e questo è diventato uno dei primi mercati mondiali per l’importazione di prodotti tecnologici destinati al miglioramento dell’efficienza energetica.
L’inaugurazione, nello scorso mese di gennaio, di un impianto fotovoltaico a Riyadh, con una capacità di 3,5 megawatt, si è trasformata in una festa nazionale, ed è stato come mettere la prima pietra di un piano energetico molto ambizioso. E poco importa se gli impianti erano di marca tedesca e i panelli di produzione cinese. L’obiettivo dell’Arabia saudita è di arrivare a 23,9 gigawattora di capacità da energia rinnovabile entro il 2020, per poi crescere fino a 54,1 gigawattora entro il 2032 quando, come abbiamo detto, i consumi domestici di energia elettrica saranno ormai triplicati rispetto a quelli attuali. In pratica, per quella data il 25 per cento della domanda di consumi energetici interni sarà coperto dalla tecnologia solare: ed è una bella percentuale se pensiamo che siamo nel cuore del club globale dei produttori di petrolio.
Ma la scommessa più avveniristica e ambiziosa si gioca in pieno deserto, a 17 chilometri di distanza da Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti, quinta potenza petrolifera della Terra con riserve di greggio per 150 anni. Qui sta nascendo la città più green del mondo con un investimento superiore ai 20 miliardi di dollari, una metropoli interamente ecosostenibile: Masdar City. Il nome in arabo significa “fonte”, ed è significativo il fatto che i cantieri sono stati aperti in un luogo dove scarseggia l’acqua, non esiste terreno coltivabile, la temperatura sale oltre i 50 gradi, e il panorama è dominato dai pozzi di petrolio. Insomma: una città carbon free dove il petrolio ha finora dominato.
Masdar sarà completata entro il 2020, ma la prima quota della popolazione prevista (circa 90mila residenti e 40mila pendolari) potrà insediarsi nel 2015 e nell’area è già attivo il Masdar Institute of Science and Technology, collegato con il Mit di Boston, che si presenta come la punta di avanguardia, sul piano scientifico, per le nuove politiche energetiche e per la riconversione verso le fonti rinnovabili dell’intero mondo arabo. Il progetto, curato dallo studio del baronetto inglese Sir Norman Foster, ha l’ambizione di coniugare passato, con un forte richiamo alla tradizione architettonica e urbanistica araba, e futuro, con un massiccio uso delle più avanzate tecnologie. All’ingresso della città, fuori dall’abitato, ci sarà una centrale fotovoltaica da 10 megawatt che dovrebbe coprire le esigenze dei consumi elettrici pubblici in tutto il territorio urbano. Il resto lo faranno i pannelli solari che ricoprono gli edifici, con un’altra, importante novità: non più grattacieli, come è tradizione nelle metropoli degli emiri, ma palazzi non più alti di quattro piani, interamente ricoperti dai pannelli. Nel sottosuolo sono previste strutture che consentiranno il passaggio dell’aria fresca per gli impianti di raffreddamento negli appartamenti e negli uffici, mentre l’acqua arriverà da sofisticati impianti di desalinizzazione che andranno a cercarla in profondità per poi portarla, depurata, in superficie.
Lo schema urbano, invece, che richiama il modello dei centri arabi, con strade strette e ombreggiate per proteggersi dal sole, è stato studiato per sfruttare al massimo la luce naturale e il vento, con relativi impianti eolici. Anche le strade saranno carbon free, con la circolazione consentita soltanto a pedoni, ciclisti e mezzi pubblici, come finora abbiamo visto soltanto nelle città più evolute sul piano ambientale dell’Europa del Nord. I cittadini avranno a disposizione anche una dotazione di tremila automobili elettriche, senza guidatore, in grado di muoversi seguendo le indicazioni di magneti inseriti sul fondo stradale e di localizzare, grazie a potenti sensori, eventuali ostacoli. Autentici taxi-robot , mai visti nelle città del mondo occidentali ma solo nei laboratori universitari. Una metropolitana leggera, invece, collegherà Masdar City al centro di Abu Dhabi, consentendo il movimento dei pendolari.
Un’altra fonte energetica strategica sarà quella del riciclaggio dei rifiuti: il piano prevede il riutilizzo del 90 per cento degli scarti urbani, e quindi una totale trasformazione dell’immondizia in corrente, senza alcuna emissione di CO2, in quanto Masdar dovrà avere “emissioni zero”. Così come l’acqua utilizzata per i consumi domestici sarà poi riciclata negli impianti di irrigazioni esterni agli edifici, fino ai giardini pubblici che circonderanno il centro abitato.
Saranno i fatti a dirci fino a che punto l’utopia di Masdar si trasformerà in realtà e fino a che punto sarà possibile vedere alla luce, in pieno deserto, una città che non inquina, un’oasi di verde metropolitano abitato però da migliaia di persone. Certo, la scommessa, abbinata agli investimenti che gli emirati arabi hanno messo in campo sul versante delle rinnovabili, è indicativa di una realtà che deve fare riflettere: i primi a pensare a un mondo che non sia completamente dipendente dal petrolio sono proprio loro, i paesi che più lo producono.