Il volontariato al tempo della crisi

Famiglie del ceto medio, padri separati, persone di mezza età che hanno perso il posto di lavoro, extracomunitari: l'universo dei nuovi poveri

La macchina arriva puntuale e si ferma davanti al portone del condominio. Ad aspettarla, con un sacchetto in mano, c’è Primo Fiore, un signore sulla sessantina che da dieci anni dedica gran parte del suo tempo al prossimo. Fa il volontario per l’Unione Samaritana all’Ospedale Niguarda e da qualche tempo anche per la Caritas Ambrosiana, distribuendo i pasti alle persone sole e non autosufficienti. Il cibo arriva da una mensa, c’è tutto il necessario per la giornata della signora novantenne che lo attende al terzo piano, anche per scambiare qualche chiacchiera: una minestra calda, verdure, pane, biscotti, frutta.

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Siamo a Milano, nel quartiere Ghisolfa, nella zona nord-ovest della città. Primo Fiore è in pensione, ha lavorato in banca per venticinque anni. «Di giovani, fra noi volontari, ormai se ne vedono davvero pochi», racconta, «La gran parte sono pensionati come me: per intraprendere un’attività del genere ci vuole disponibilità di tempo e una certa serenità, anche economica». Quando si è avvicinato per la prima volta al mondo della solidarietà, le cose erano diverse, ci spiega. «In ospedale ci mandavano molti ragazzi, parecchi lì facevano il servizio civile, altri invece venivano a far compagnia agli ammalati nel proprio tempo libero. Con uno in particolare avevo stretto amicizia, era un giovane che lavorava nell’azienda energetica municipale; veniva la sera, due o tre volte a settimana».

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Complici la crisi economica e la disoccupazione, nelle fasce d’età dei giovani adulti il tempo speso per la ricerca di un impiego viene sottratto a quello dedicato al sostegno degli altri. Nonostante infatti la tendenza degli italiani che si dedicano anche saltuariamente ad attività di volontariato sia di segno positivo e in crescita – secondo i dati Istat in poco meno di 20 anni si è passati dal 6,9 al 10%, circa 5 milioni di persone, cifre comunque non troppo significative se paragonate al 40% della popolazione di paesi come Olanda, Austria, Svezia o Regno Unito – l’incremento è notevole per gli ultrassessantenni (+ 7 punti percentuali dal 1993 al 2011), molto meno significativo invece fra i giovani, che si fermano a un +3%. E a guardare i numeri maggiormente nel dettaglio, la situazione appare ancora più chiara: la crescita è di 6 punti percentuali fra i 18-19enni, di poco più di mezzo punto percentuale nella fascia dai 35 ai 44 anni.

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