A Napoli la protesta dei lavoratori dei consorzi per la raccolta dei rifiuti sale di giri e segnala, ancora una volta, l’opacità e gli equivoci che hanno trasformato l’intero sistema della rimozione della spazzatura in un vulcano, sempre a rischio eruzione. Prima la protesta davanti alla sede dell’amministrazione provinciale, poi l’assedio al termovalorizzatore di Acerra con i camion bloccati all’ingresso e una tregua molto fragile fino a quando non saranno sciolti i nodi di fondo che tutti fingono di ignorare.
Il primo punto è la mancanza di risorse finanziarie con il risultato che i circa 2mila dipendenti dei consorzi non ricevono lo stipendio da cinque mesi: i consorzi non pagano perché, a loro volta, non riescono ad incassare i soldi dai comuni. Un circolo vizioso, nato e cresciuto da alcuni anni, con un’architettura faraonica di strutture, società e rubinetti di spesa che certo non è stata realizzata per dare efficienza al sistema e metterlo in sicurezza.
Il secondo nodo è la reale utilità di questi lavoratori, dei quali quasi la metà non ha letteralmente alcuna mansione da svolgere. Basta pensare che il consorzio di Napoli, dove pure risultano iscritti a libro paga 884 persone, è stato abbandonato dalle varie amministrazioni comunali e resta a disposizione, con questo organico, per una popolazione di appena 26mila abitanti. I consorzi, in pratica, si sono trasformati in enti assistenziali, un film già visto nell’enorme bacino della disoccupazione e del precariato meridionale, nessuno si è preso la responsabilità di ricollocare i lavoratori e una volta che i fondi sono finiti l’unica risposta è stata la protesta in piazza. Eppure attività da svolgere ce ne sarebbero, liberando la filiera dei rifiuti da una funzione impropria di ammortizzatore sociale. Non sappiamo bene di che cosa si parla nei continui vertici alla regione, alla provincia, in prefettura. Ma una cosa è sicura: non si può continuare ad andare avanti rinviando le decisioni in attesa di qualcosa (?) che pioverà dal cielo.
L’apparato dei consorzi va semplificato e rivisto secondo le reali esigenze del servizio, senza dare ossigeno a termine a inutili carrozzoni, e i dipendenti hanno il sacrosanto diritto a un lavoro ed a uno stipendio, non a una forma di assistenza sotto l’insegna della raccolta della spazzatura e delle sue mini holding. Il rischio, a parte la tensione per le proteste, è di dare altri colpi mortali al sistema della raccolta e dello smaltimento che continua a rassomigliare a un castello di sabbia. La spazzatura non marcisce nelle strade grazie ai costosissimi trasferimenti via nave, gli impianti restano insufficienti e non girano a pieno regime, i dipendenti non sono pagati per un lavoro che esiste solo sulla carta, la stangata della multa dell’Unione europea si avvicina. Quanto può durare il caos quotidiano?