Tempo fa tre detenuti delle
carceri israeliane sono
comparsi davanti alla
commissione che concede
la libertà condizionale.
Tutti e tre avevano già
scontato almeno due terzi della pena, ma la
commissione ha concesso la libertà solo a
uno di loro. Il primo detenuto si è presentato
alle 8.50. Era un arabo israeliano condannato
a due anni e mezzo per frode. Alle
15.10 è arrivato un ebreo israeliano che
scontava un anno e quattro mesi per aggressione.
Alle 16.25 è stato discusso il caso
di un altro arabo israeliano condannato a
due anni e mezzo per frode. C’era una logica
nelle decisioni della commissione, ma
non aveva niente a che fare con l’origine
dei detenuti né con il reato commesso né
con l’entità della pena. Era tutta una questione
di orari. Lo ha scoperto un gruppo di
ricercatori che ha analizzato più di 1.100
decisioni prese dalla commissione in un
anno. Dopo aver esaminato le richieste dei
detenuti ed essersi consultati tra loro, i giudici
avevano concesso la libertà in circa un
terzo dei casi. Ma le probabilità che lo facessero
variavano a seconda dell’ora: i detenuti
che comparivano davanti alla commissione
di mattina ottenevano la libertà
nel 70 per cento dei casi, quelli che comparivano
di pomeriggio in meno del 10 per
cento dei casi. La fortuna, quindi, aveva
favorito il detenuto delle 8.50, mentre l’altro
arabo israeliano, che scontava la stessa
condanna per lo stesso reato ed era comparso
davanti alla commissione alle 16.25,
non era stato altrettanto fortunato. Gli era
stata negata la libertà come al detenuto
delle 15.10, che scontava una condanna più
leggera. Il loro caso era stato semplicemente
esaminato all’ora sbagliata.
Secondo uno studio realizzato da Jonathan
Levav, dell’università di Stanford, e
Shai Danziger, dell’università Ben Gurion,
nella decisione dei giudici non c’era niente
d’intenzionale o d’insolito. Gli autori della
ricerca, presentata all’inizio del 2011, sostengono
che un comportamento incostante
è un rischio che corre chiunque debba
prendere decisioni. I giudici erano stati logorati
dalla fatica mentale accumulata dopo
aver valutato un caso dopo l’altro. Questo
tipo di affaticamento può far compiere
scelte sbagliate ai giocatori di football nel
finale di una partita o spingere i dirigenti di
un’azienda a prendere decisioni disastrose
a tarda sera. La fatica mentale distorce il
giudizio di tutti, manager e operai, ricchi e
poveri. Anzi, può essere particolarmente
pericolosa per i più poveri. Eppure poche
persone ne sono consapevoli, mentre i ricercatori
cominciano solo ora a capire perché
succede e come si possono limitare i
danni. L’affaticamento da decisione ci aiuta
a capire perché persone di solito sensate
si arrabbiano con colleghi e familiari, spendono
somme spropositate in vestiti o comprano
alimenti scadenti al supermercato.
Per quanto cerchiamo di essere razionali e
distaccati, non possiamo prendere una decisione
dietro l’altra senza pagarne il prezzo
a livello biologico. È una fatica diversa
da quella fisica: non siamo coscienti di essere
stanchi, ma la nostra energia mentale
diminuisce. Più scelte facciamo durante il
giorno, più diventa difficile continuare a
scegliere.
Alla fine il nostro cervello cerca una
scorciatoia, solitamente di due tipi. La prima
è l’avventatezza: agiamo impulsivamente
invece di pensare alle conseguenze.
L’altra è il modo migliore per risparmiare
energia: non fare niente. Invece di angosciarci,
non prendiamo nessuna decisione.
Evitare di scegliere può creare dei problemi
successivamente, ma sul momento allenta
la tensione mentale. Resistiamo a
qualsiasi cambiamento e a qualsiasi mossa
potenzialmente rischiosa, come rilasciare
un detenuto che potrebbe commettere di
nuovo un reato. Perciò anche il giudice affaticato
sceglie la soluzione più facile, e il
detenuto resta in carcere.
L’affaticamento da decisione è l’ultima
scoperta su un fenomeno che il sociopsicologo
Roy F. Baumeister ha chiamato esaurimento
dell’ego in omaggio a un’ipotesi
freudiana. Sigmund Freud aveva ipotizzato
che l’io, o ego, dipendesse dalle attività
mentali che implicano un trasferimento di
energia. Ma era rimasto nel vago sui dettagli.
Anzi, alcuni erano sbagliati, come l’idea
che gli artisti “sublimano” l’energia sessuale
nel loro lavoro: in base a questo presupposto
l’adulterio dovrebbe essere particolarmente
raro nel mondo dell’arte. Il modello di energia dell’io di Freud è stato
generalmente ignorato ino alla fine del novecento,
quando Baumeister ha cominciato
a fare degli esperimenti sulla disciplina
mentale, prima alla Case Western e poi
all’università della Florida. I suoi esperimenti
hanno dimostrato che il cervello ha
una quantità di energia limitata per esercitare
l’autocontrollo.
Le persone coinvolte nei test resistevano
alla tentazione di mangiare caramelle o
biscotti al cioccolato appena sfornati, ma
in seguito cedevano più facilmente ad altre
tentazioni. Quando si sforzavano di restare
impassibili vedendo un film commovente,
poi dimostravano meno resistenza in un
test di laboratorio che richiedeva autodisciplina,
come risolvere un quesito di geometria
o stringere un manubrio a molla. Si
è scoperto che la forza di volontà non è solo
un’idea popolare o una metafora, ma una
forma di energia mentale che si può esaurire.
Gli esperimenti hanno confermato
l’ipotesi ottocentesca che la forza di volontà
è come un muscolo che si affatica con
l’uso e può essere conservata evitando le
tentazioni. Per studiare l’esaurimento
dell’ego, i ricercatori si erano concentrati
inizialmente sulle azioni che richiedono
autocontrollo, il tipo di autodisciplina solitamente
associato alla forza di volontà.
Fonte: Internazionale