Immigrati: tra il buonismo e l’intolleranza c’e’ la giustizia

Una ragazza tredicenne, bella, sportiva e solare, scomparsa nel nulla. Un muratore marocchino, ventenne, fermato a bordo di un traghetto con l’accusa di sequestro di persona e, probabilmente, di omicidio. Un paese del bergamasco, la terra di Papa Giovanni e della fabbrica diffusa, che rovescia in strada e nella piazza virtuale di Internet, la sua […]

Una ragazza tredicenne, bella, sportiva e solare, scomparsa nel nulla. Un muratore marocchino, ventenne, fermato a bordo di un traghetto con l’accusa di sequestro di persona e, probabilmente, di omicidio. Un paese del bergamasco, la terra di Papa Giovanni e della fabbrica diffusa, che rovescia in strada e nella piazza virtuale di Internet, la sua rabbia disperata e la sua voglia di immediata e sommaria giustizia. La storia di Yara Gambirasio, svanita da nove giorni, é già una tragedia del male assoluto, dell’uomo che sprofonda nell’abisso di un inferno dove tutto brucia, corpi e anime. Se poi l’uomo in carne ed ossa, presunto colpevole, é un immigrato, allora al delitto più assurdo si abbinano gli interrogativi, e le frustrazioni, di una convivenza sempre sospesa sul filo della precarietà. Ma é proprio in questi momenti che il nostro senso comune, la nostra idea di civiltà, la nostra religione laica del diritto, devono rappresentare l’argine all’indignazione che altrimenti può, quasi naturalmente, tracimare nell’intolleranza. 
Di fronte agli occhi innocenti di Yara e al dolore di una famiglia colpita con tanta violenza, non possiamo tirare fuori dal cassetto le solite statistiche sull’immigrazione, sull’onda lunga di un fenomeno globale comunque inarrestabile, su un’economia che può continuare a girare solo grazie al lavoro garantito dagli stranieri. No, dobbiamo restare piantati nel perimetro del diritto, della legalità, della legge una e uguale per tutti. A chi ha scritto il cartello "Occhio per occhio, dente per dente", comparso nelle strade di Brembate Sopra, a chi ha rovesciato nel catino di Facebook le sue pulsioni, anche motivate, chiedendo la pena di morte contro l’immigrato già condannato, non dobbiamo contrapporre argomenti fumosi, pietismi di maniera, accuse generiche di razzismo. Abbiamo solo bisogno di ancorarci a quella freddezza della giustizia che in Italia fa sempre fatica a farsi strada. Innanzitutto il marocchino fermato si dichiara innocente, almeno stando alle indiscrezioni raccolte dai cronisti sul territorio, e gli stessi inquirenti parlano di delle indagini. Dunque, qualsiasi giudizio di colpevolezza é almeno prematuro, a meno che non si voglia costruire a tavolino il caso di un mostro utile a supportare la tesi che gli stranieri sono diventati troppi e troppo pericolosi. Allo stesso tempo, però, se dovessero esserci le conferme sulle responsabilità del giovane fermato, non solo la famiglia di Yara e gli abitanti di Brembate Sopra, ma tutti noi, abbiamo il diritto di vedere applicate, con una ragionevole tempestività, le norme relative a questo tipo di reati.
In fondo, l’unica strada percorribile per fare uscire il problema dell’immigrazione dal vicolo cieco di due errori paralleli, la retorica buonista e gli istinti dell’intolleranza, é quella che riesce a ricondurre lo straniero alla sua dimensione di cittadino. Al quale viene riconosciuta l’accoglienza della comunità, che ha tutto l’interesse a favorire l’integrazione, ma viene anche applicata la fermezza scolpita nei codici, unica garanzia giuridica di una libera e civile convivenza. Nel giorno della rabbia e del dolore di un paese sconvolto dalla storia oscura di Yara, il sindaco di un’amministrazione leghista doc, ha mostrato con le sue dichiarazioni una confortante e lucida capacità di giudizio. ha detto Diego Locatelli. E questa, per il momento, é l’unica buona notizia che arriva dal buio di Brembate Sopra.   
 
Torna in alto