Ecco i veri numeri sulla plastica che produciamo e non ricicliamo. Bene il Giappone, male l’Europa, ancora peggio l’America

  Viviamo avvolti nella plastica. Nonostante gli importanti passi avanti che si stanno facendo per ridurre l’uso di questo materiale e anche per sviluppare ragionevoli alternative attraverso i progressi della ricerca e della tecnologia, il nostro pianeta continua a essere sommerso dai rifiuti derivanti dalla plastica. Abbondano nei mari, nei fiumi, lungo le strade, e […]

 

Viviamo avvolti nella plastica. Nonostante gli importanti passi avanti che si stanno facendo per ridurre l’uso di questo materiale e anche per sviluppare ragionevoli alternative attraverso i progressi della ricerca e della tecnologia, il nostro pianeta continua a essere sommerso dai rifiuti derivanti dalla plastica. Abbondano nei mari, nei fiumi, lungo le strade, e innanzitutto nei falò all’aperto da dove sprigionano pericolose sostanze tossiche. Allo stesso tempo, però, dobbiamo considerare una buona notizia il fatto che alcuni paesi stanno facendo passi avanti, da giganti, per liberarsi dagli effetti dannosi legati allo spreco ed al super consumo della plastica. Prendiamo il caso del Giappone, dove le prime leggi sullo smaltimento corretto della plastica risalgono a 15 anni fa: l’anno scorso nel paese colpito dalla catastrofe nucleare sono stati riciclati circa il 77 per cento dei rifiuti di plastica. Una cifra enorme, e molto significativa per misurare i nuovi stili di vita che si stanno diffondendo nel mondo del capitalismo più evoluto e anche per avere un’idea di quanto sta crescendo la sensibilità dell’opinione pubblica, e l’iniziativa delle autorità pubblica, per un cambio di paradigma sulla ormai indispensabile protezione del pianeta.

Spostandoci dal Giappone alla nostra Europa, dove i comportamenti dei paesi sono molto differenti uno dall’altro, abbiamo finalmente due dati certi e molto aggiornati. Il primo riguarda il riciclo della plastica nel Vecchio continente, pari ad appena il 33 per cento, mentre il resto diventa rifiuto che  finisce nelle discariche, molto spesso abusive (come in Italia), o anche bruciato in piena campagna o nelle periferie urbane. Il secondo dato riguarda la produzione globale di plastica nel mondo, scolpita dalle statistiche della European packaging and films association (Pafa): 265 milioni di tonnellate ogni anno. E quasi i due terzi di questa gigantesca produzione vengono destinati agli imballaggi, e quindi buttati dopo il primo utilizzo. Ridurre gli imballaggi è diventata così una delle parole d’ordine più imperative, ma non è facile contrastare una consuetudine dei nostri stili di vita e dei nostri consumi, che negli anni si è consolidata nel mondo grazie al “modello americano”, il paese dove il ritmo del riciclo della plastica è ancora più lento rispetto a quello dell’Europa, sfiorando appena il 15 per cento. Inoltre non bisogna dimenticare alcune funzioni utili, perfino vitali, della plastica. Il deperimento medio del cibo, dal raccolto alla tavola attraverso i tanti, troppi, passaggi della catena alimentare, è del 3 per cento nel mondo industrializzato, dove dilaga la plastica, e del 50 per cento nei paesi in via di sviluppo dove pellicola e buste di plastica non sono così diffusi. Dunque, per uscire dalla trappola della plastica che ci avvolge, serve spingere le campagne contro l’abuso di questo materiale, incentivare le alternative, modificare gli stili di vita laddove sono insostenibili, e innanzitutto non sprecare. Puntando non solo sul risparmio, ma prima ancora su un nuovo modello di crescita economica.   

 

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