Università degli sprechi: ecco la giungla dei corsi fantasma: 1.469 hanno meno di 15 iscritti

ROMA – La corsa alla moltiplicazione delle cattedre ha prodotto enormi distorsioni. L’universita’ degli sprechi e’ ingolfata da una selva di corsi di laurea, di cui molti con pochi immatricolati e pochi iscritti. Non sempre necessita’ formative giustificano il mantenimento di corsi con un gruppetto esiguo di frequentanti. Certo, ci sono settori specialistici che vanno […]

ROMA – La corsa alla moltiplicazione delle cattedre ha prodotto enormi distorsioni. L’universita’ degli
sprechi e’ ingolfata da una selva di corsi di laurea, di cui molti con pochi immatricolati e pochi iscritti.
Non sempre necessita’ formative giustificano il mantenimento di corsi con un gruppetto esiguo di frequentanti.
Certo, ci sono settori specialistici che vanno comunque salvati. Ne’ si puo’ ragionare solo in
termini numerici. Tuttavia i dati statistici del ministero dell’Universita’ sono allarmanti: abbiamo 40 corsi
con un solo immatricolato, 767 con dieci o meno immatricolati e 1.260 con 15 o meno immatricolati.
Inoltre abbiamo 235 corsi con un solo iscritto, 1.109 con 10 o meno iscritti e 1.469 con 15 o meno
iscritti. La gran parte sono di area sanitaria. Riguardano professioni che vanno dall’ostetricia alla dietistica,
all’ortottica, alla radiologia medica, all’igiene dentale, alle tecniche di neurofisiopatologia, alle
tecniche diagnostiche o audiometriche. Ma il problema dei corsi di laurea con pochissimi immatricolati
riguarda anche altri settori. Spesso le universita’ si sono fatte concorrenza a suon di sigle e hanno cercato
di attrarre iscritti con titoli che promettevano specializzazioni da utilizzare con facilita’ sul mercato
del lavoro.

Ma se le universita’ si sono gonfiate di corsi sanitari semideserti lo devono a una legge del 1999 che
prevede un accordo Stato-Regioni secondo cui gli atenei sono obbligati a garantire le specializzazioni
sanitarie. Si’, la programmazione di quei corsi non e’ nostra – spiega Andrea Lenzi, presidente del Consiglio
universitario nazionale – Ogni regione puo’ dire quest’anno mi serve un audiometrista in piu’, ho
bisogno di un ostetrico, e le universita’ del territorio provvedono. La programmazione sanitaria e’ regionale.
In realta’ per gli atenei sono corsi in perdita, non c’e’ dubbio che questa materia andrebbe tutta rivista.
Pero’ questo non e’ uno scandalo delle universita’, le colpe vanno addebitate alle regioni
Parliamoci chiaro – continua Lenzi – per gli atenei questi corsi sono un guaio, anche perche’ il ministero
per gli studenti di questi corsi paga la meta’ della quota pro-capite, perche’ sostiene che costino meno.
La verita’ e’ che siamo costretti a tenerli in piedi a prescindere dal numero degli iscritti. Quanto ai corsi
con meno di 15 iscritti, rilevo un errore del ministero. I dati vengono solitamente rilevati mentre sono
ancora aperte le immatricolazioni, cosi’ che i numeri sono spesso falsati.
Ma c’e’ una giustificazione per tutto? No – ammette il presidente del Cun Lenzi – Ci sono corsi inutili,
non potrei negarlo. Corsi che vanno chiusi, eliminati. Pero’ attenti a non cancellare specializzazioni preziose,
solo perche’ sembrano strane o poco comprensibili. Prima di tagliare mi auguro che ci sia una revisione
.
E di revisione parlano anche i rettori Luigi Frati della Sapienza e Renato Lauro di Tor Vergata. Dice
Lauro: Con il 3+2 c’e’ stata ovunque una proliferazione di corsi, anche perche’ in periodi di scarsezza di
risorse avere molti studenti significa aumentare le entrate. Pero’ la politica di attrarre studenti non sempre
paga. Nel senso che ci siamo ritrovati con dei corsi sguarniti, che sono diventati un peso e che in
certi casi non hanno neppure aiutato gli studenti ad inserirsi nel mercato del lavoro.
Ma il ministro dell’universita’ Mariastella Gelmini ipotizza tagli e invita gli atenei a rivedere i corsi in attesa
di dettare criteri per la formazione e il mantenimento di un corso di laurea. Intanto, qualche cosa
si muove. Frati della Sapienza e’ gia’ al lavoro con il suo staff per innalzare i livelli “minimi” di frequenza
dei corsi e Lauro di Tor Vergata ha gia’ preso una decisione: D’accordo con il Senato accademico abbiamo
stabilito che con meno di 30 studenti il corso non parte. Ci potra’ essere qualche eccezione, ma
sara’ valutata di caso in caso.

Il problema dei corsi con pochi iscritti, comunque, e’ ben piu’ ampio. Non riguarda solo le 22 professioni
sanitarie. Basta esaminare la banca dati del ministero dell’universita’ per scoprire una lunga lista di
corsi con due, tre, quattro, sei, dieci o quindici immatricolati. I dati sono relativi alle lauree triennali
dell’anno accademico 2007-2008. Ecco qualche esempio. Nella facolta’ di Scienze e tecnologie chimiche
di Parma il corso di laurea in Scienza e tecnologia del packaging ha 15 immatricolati, cosi’ Tecniche erboristiche
della facolta’ di Scienze farmaceutiche a Perugia. Ancora 15 iscritti a Milano-Bicocca nel corso
di Tecnologie orafe della facolta’ di Scienze matematiche, fisiche e naturali. Idem per Archeologia del
Mediterraneo a Enna. Passiamo a 14 immatricolati per il corso di laurea in Protezione delle piante della
Statale di Milano; a 13 per Scienze della Sicurezza economica finanziaria di Tor Vergata; ancora 13 immatricolati
a Gestione e tecnica del territorio dell’universita’ Mediterranea di Reggio Calabria; 13 a Tecnico
della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro della facolta’ di Medicina della II Universita’ di
Napoli, sede di Sant’Angelo dei Lombardi.

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