Un poeta racconta l’infernale spreco della burocrazia

Voglio segnalarvi questo straordinario racconto, in prima persona, del poeta Valerio Magrelli che scolpisce l’infernale concentrato di sprechi (di lavoro, tempo,  salute,  soldi…) quando la burocrazia ci colpisce, con un pugno in faccia, nella vita quotidiana. Lo ha scritto per il Venerdì di Repubblica ed è un testo imperdibile. Buona lettura. Vorrei avanzare Una modesta proposta […]

Voglio segnalarvi questo straordinario racconto, in prima persona, del poeta Valerio Magrelli che scolpisce l’infernale concentrato di sprechi (di lavoro, tempo,  salute,  soldi…) quando la burocrazia ci colpisce, con un pugno in faccia, nella vita quotidiana. Lo ha scritto per il Venerdì di Repubblica ed è un testo imperdibile. Buona lettura.

Vorrei avanzare Una modesta proposta alla Swift. Ho appena rinunciato a due lavori, un articolo e una conferenza. Eppure ne avevo estremo bisogno. Allora come mai li ho rifiutati? Sono forse impazzito? Niente affatto. Per spiegare la mia scelta, non avrei dovuto dire “ho rinunciato a due lavori”, bensì: “Sono stato costretto a rinunciarvi”. E chi mi ha impedito di esercitare la mia libera professione? Ovvio: la burocrazia. Mentre assistiamo a evasioni colossali, quando si tratta invece di cifre irrisorie (come sempre nel campo intellettuale), tutto a un tratto i controlli amministrativi si risvegliano, scatenando la loro ostilità. Contratti di cinque o sei pagine, domande di nulla osta presso gli enti di appartenenza (esaudite dopo mesi), richieste di indicare quanto si è guadagnato fino al momento della stipula e quanto si guadagnerà entro l’anno in corso, firme elettroniche, insomma, chi più ne ha più ne metta – e questo per un importo netto sui duecento euro. Da tante vessazioni, nasce spontanea la domanda: perché l’amministrazione perseguita chi prova a lavorare? Perché la liquidazione di una lezione o di una recensione sottostà a protocolli paragonabili a quelli di un appalto autostradale? Versare le tasse è doloroso, certo, ma a condizione di specificare che in realtà questa pena nasconde due distinte sofferenze. Da un lato, c’è quella economica, che in uno Stato con servizi efficienti svanirebbe in fretta (mi duole il salasso, ma in cambio posso usare bus, ospedali e scuole pubbliche). Dall’altro, ben più sadica e maligna, c’è una ferita psicologica: infatti il contribuente più volenteroso viene osteggiato, ostacolato, molestato. Perché devo pagare un fiscalista, per capire cosa pagare? Paradossalmente, l’enormità dell’affronto resta invisibile. Ma proviamo a rovesciare i termini. Per aiutare chi patisce, e insieme arricchire le proprie casse, lo Stato potrebbe offrirgli la possibilità di evitare simili angherie. Come? Versando semplicemente un sovrappiù per l’Esenzione da Contatto Fiscale. Personalmente, sarei lietissimo di accettare una ritenuta più alta del previsto, a patto che mi venisse risparmiata la tortura burocratica. Trattenetemi pure il 50 per cento dell’onorario alla fonte, ma non sequestrate il mio tempo, e soprattutto non fatemi entrare in rapporto con materiale amministrativo, che per quanto mi riguarda ritengo più oltraggioso di quello pornografico. Vi esorto ad approntare un’alternativa: qualcosa mi dice che sarebbero in molti ad aderire. 

Valerio Magrelli

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