Sprechi di Stato. Il telescopio che non vedrà mai le stelle

La parabola, costruita in Sardegna, e’ costata 67 milioni. Sara’ inaugurata, ma non entrera’ in funzione: mancano i fondi L’istituto di astrofisica rischia la bancarotta L’enorme parabola, 64 metri di diametro, punta gia’ il cielo e le stelle con i suoi mille pannelli di alluminio. Trasmettera’ informazioni e immagini dallo spazio alla velocita’ della luce. […]

La parabola, costruita in Sardegna, e’ costata 67 milioni. Sara’ inaugurata, ma non entrera’ in funzione: mancano i fondi
L’istituto di astrofisica rischia la bancarotta

L’enorme parabola, 64 metri di diametro, punta gia’ il cielo e le stelle con i suoi mille pannelli di alluminio. Trasmettera’ informazioni e immagini dallo spazio alla velocita’ della luce. Sembra un’astronave atterrata nel cuore della Sardegna, ci sono voluti cinque anni per costruirla e 67 milioni di euro. Si chiama Sardinia Radio Telescope, ma il gioiello che sara’ inaugurato a breve, il piu’ sensibile radiotelescopio europeo, diventera’ anche il piu’ inutilizzato. Non un’incompiuta, ma un’opera compiuta e forse mai entrata in funzione, gioiello nella vetrina dell’assurdo e del paradosso italiano.

“Per attivare e gestire una struttura del genere dove lavorerebbero una trentina di nostri ricercatori e tecnici occorrono 3-4 milioni di euro, ma nel 2010 non disporremo di quella cifra” racconta Tommaso Maccacaro, presidente dell’Istituto nazionale di Astrofisica. Stesso triste destino per l’altro nostro telescopio storico, quello di Noto, piu’ piccolo ma in funzione da anni: “Si e’ rotta una rotaia necessaria per farlo ruotare, serve un milione di euro che non abbiamo, pensiamo di interromperne il funzionamento anche li'”. Restera’ operativo in Italia il solo telescopio di Medicina, in provincia di Bologna.

“Mentre rischiamo di richiamare entro l’anno in Italia i trenta dipendenti e ricercatori che da anni tenevano in attivita’ il telescopio Galileo alle Canarie (costato 30 milioni di euro, ndr), quello che ha scoperto pochi anni fa il piu’ lontano corpo celeste dell’universo. – continua il presidente dell’Inaf – il nostro fiore all’occhiello, ma nel 2009 per la manutenzione e la gestione sono stati necessari 2,5 milioni di euro che non potremo permetterci quest’anno”.

Paradossi e disservizi non sono una novita’ nel mondo della ricerca, dell’universita’ e della cultura di un’Italia capace di tenere appena in vita con una flebo di finanziamenti anche le istituzioni scientifiche piu’ prestigiose.
Per il 2010, il budget che e’ stato di 92 milioni per l’Istituto nazionale di astrofisica, scendera’ a 89 milioni. Tagli anche qui, ma e’ pur vero che la cifra non si puo’ certo dire esigua. Ma allora perche’ un corpo di ricercatori e astronomi raggruppati sotto una sigla che la gran parte degli italiani non conosce nemmeno (Inaf) e che e’ stato creato appena nove anni fa, sta gia’ per dichiarare bancarotta? Perche’ stanno per essere smantellate strutture come i grandi telescopi che poi ne giustificano l’esistenza e l’attivita’? E perche’ l’opera capolavoro costata 67 milioni sara’ inaugurata e subito sigillata?

La ragione sta tutta in un dato, in un’impietosa percentuale. Il 90 per cento di quel budget da 89 milioni di euro messo a disposizione dell’Istituto di astrofisica e’ assorbito dal personale e, in parte, dai costi fissi per tenere in piedi le venti sedi sparse per l’Italia (circa 80 milioni).

Dipendenti, amministrativi, ricercatori, contratti a termine, astronomi. Un esercito che e’ il cuore pulsante ma anche tallone di Achille dell’ente, che adesso tocca quota 1.279 unita’. Un’esplosione burocratica che pure il presidente Maccacaro, alla guida dell’Inaf dal 2007, difende a spada tratta: “Non siamo un carrozzone, e’ il personale necessario ad operare e che abbiamo ereditato dagli enti che si sono fusi nel nostro istituto”.
Nato nel 2001 appunto dalla fusione in Istituto nazionale dei 12 osservatori astronomici e astrofisici presenti in Italia, l’Inaf (sede centrale a Roma in via del Parco Mellini su Montemario) ha assorbito poi nel 2005 col riordino imposto dal ministro Moratti sette altri istituti del Cnr che si occupavano di radioastronomia, fisica dello spazio e astrofisica spaziale. Il suo organico passa in quell’anno da 900 agli attuali quasi 1.300 dipendenti. Inizia un progressivo indebitamente esterno per sopperire alle carenze finanziarie e per pagare le compartecipazioni nei piu’ importanti progetti di ricerca internazionali. Anche perche’ da allora e fino ad oggi, per le attivita’ che poi costituiscono la mission e il core business dell’Istituto, resta a disposizione – al netto del personale – solo il 10 per cento. Nel 2010, a occhio e croce, nove milioni di euro. Ma per la manutenzione e la gestione di un solo telescopio occorre in media tra il 4 e il 10 per cento del costo di costruzione. Si parla in ogni caso di svariati milioni di euro.

Per farla breve, come si legge nell’ultimo piano triennale dell’Inaf, il fabbisogno finanziario per i 2010 ammonterebbe a 125,6 milioni di euro. Ecco perche’ al ministro Maria Stella Gelmini i vertici dell’Istituto hanno battuto cassa per ottenere 30 milioni di euro in piu’ rispetto al budget dell’anno scorso, ricevendo per risposta uno stanziamento perfino inferiore a quello del 2009. Anno in cui il consiglio di amministrazione dell’ente ha disposto l’accensione di un terzo pesante mutuo bancario. “Senza un intervento finanziario ad hoc del ministero non potremo andare avanti”, si legge nella relazione al bilancio. Al ministero allargano le braccia e rimandano alla mole di spese fisse e di personale che appesantisce quell’ente pur importante. Il presidente Maccacaro non accetta critiche sul punto. “Se si divide il budget di 89 milioni per i quasi 1.300 dipendenti si ha uno stanziamento pro capite di circa 70 mila euro. Quello dei nostri partner internazionali e’ talvolta il doppio”.

Il fatto e’ che il personale continua a crescere. Come si deduce dalla tabella qui pubblicata, i contratti a termine sono 275 e progressivamente gli “stabilizzandi” vengono stabilizzati. Dopo un primo gruppo di 25 assunzioni portate a termine nel 2008, si e’ poi proceduto con un secondo gruppo di 19 persone. E nel 2009 altre 29 persone. Risultato: nonostante i buoni successi internazionali riportati dall’Inaf nelle sue molteplici partnership aerospaziali in giro per il mondo, tutto rischia di bloccarsi. “Sara’ necessario sospendere molte delle collaborazioni piu’ rilevanti – si legge nell’ultima relazione dell’ente – come quella con Stati Uniti e Germania sul Large Binocular Telescope (il piu’ grande telescopio ottico e infrarosso al mondo, partecipazione al 25%) e con l’European Southern observatory. E ancora, l’Alma regional center e l’installazione del telescopio Vlt, le operazioni delle antenne della rete Very large baseline Telescope interferometer, e la ricerca di base”. Per non dire del fatto che l’Inaf ha dovuto gia’ l’anno scorso rinunciare, per mancanza di risorse, a finanziare borse di dottorato di ricerca in fisica e astronomia. Questo e’ l’andazzo ormai all’Inaf, nonostante “la leadership italiana nei progetti di ricerca e’ riconosciuta internazionalmente” su esplorazione spaziale e astrofisica. Ma se un ente di ricerca non fa piu’ ricerca, se gli osservatori chiudono i battenti e i telescopi si spengono, quale ragione resta se non pagare gli stipendi ai dipendenti?

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