Skyfarming, l’orto verticale. Il progetto piace alle metropoli

IL profilo urbano di posti come Manhattan e Chicago potrebbe essere presto trasformato dallo skyfarming, ovvero dall’introduzione di torri agricole per la produzione di cibo a basso costo e di basso impatto ambientale. Edifici nei quali i suini verrebbero allevati al quinto piano, i polli al sesto e gli ovini al settimo (tanto per fare […]

IL profilo urbano di posti come Manhattan e Chicago potrebbe essere presto trasformato dallo skyfarming, ovvero dall’introduzione di torri agricole per la produzione di cibo a basso costo e di basso impatto ambientale. Edifici nei quali i suini verrebbero allevati al quinto piano, i polli al sesto e gli ovini al settimo (tanto per fare un esempio) mentre ai piani piu’ alti si coltiverebbero legumi, vigne, ortaggi e tutte le varieta’ vegetali che hanno bisogno di tanta acqua per crescere. Non solo un tentativo di fornire le citta’ di un modo per garantirsi l’approvvigionamento di cibi coltivati localmente e con metodi organici, ma anche una risposta ai problemi ambientali piu’ pressanti del momento.

Impostate secondo i piu’ stretti principi dello “zero waste”, cioe’ “rifiuti zero”, le fattorie verticali, nel progetto, tendono a utilizzare al massimo le risorse e a riutilizzare gli scarti. L’acqua usata per irrigare i raccolti situati ai piani superiori percolerebbe lentamente verso i piani inferiori per irrigare grano, frutta e verdura mentre i rifiuti – quelli non utilizzati come mangime per gli animali dei piani piu’ bassi – finirebbero nei sotterranei con gli altri scarti organici per essere trasformati, grazie a fornaci termovoltaiche, in “bio-palline” di combustibile ultracompresso che, producendo tanta energia, finirebbe col generare l’elettricita’ utilizzata dall’edificio.

Quanti ai rifiuti, questi verrebbero ridotti al minimo attraverso un rigorosissimo programa di riciclaggio che finirebbe col recuperare anche il vapore acqueo emesso da piante e animali. Trasformato in acqua pura, verrebbe imbottigliato per la vendita al dettaglio nei ristoranti e nei supermercati situati ai livelli piu’ bassi dell’edificio. Il tutto in un ambiente superclimatizzato.

L’idea dello skyfarming, finora sperimentata solo in piccoli edifici di comunita’ ecosostenibili dell’Arizona e della California, ha ricevuto un improvviso impulso dalla crisi immobiliare statunitense. Colpito dall’ondata di fallimenti aziendali, il settore immobiliare per il commercio sta registrando un’incidenza di edifici vuoti che ricorda quella degli inzi degli anni ’80, quando interi isolati erano completamente spopolati. Nelle downtown (i centri finanziari) delle metropoli, ora abbondano edifici vuoti che potrebbero essere riconvertiti in aziende agricole a carattere urbano.

Secondo gli esperti, nella sola New York se ne potrebbero costruire in poco tempo oltre una quindicina, ciascuna in grado di produrre cibo sufficiente a soddisfare oltre 75 mila persone. Se se ne costruissero 160, si potrebbe sfamare l’intera popolazione della Big Apple.

Il numero dei centri urbani che hanno espresso interesse per la nuova proposta, oltre a New York, va da Toronto a Seattle e da San Francisco a Los Angeles. Anche Las Vegas, dove quella di ricreare i simboli architettonici di altri luoghi del mondo e’ un’arte, sta pianificando una skyfarm di trenta piani. Mentre Shangai, Corea del Sud, Abu Dabi e Emirati Arabi – dove la disponibilita’ di suolo coltivabile e’ per ragioni di forza maggiore una risorsa scarseggiante – si sono affrettati a chiedere progetti di fattibilita’.

Lanciata circa cinque anni fa in maniera provocatoria da Dickson Despommier, docente di Salute pubblica e microbiologia alla Columbia University, l’idea del vertical farming non ci ha messo molto ad attecchire accendendo la fantasia di amministratori locali e architetti di grido. Il sindaco di San Francisco, Gavin Newsom, ne e’ un sotenitore convinto mentre a New York l’ipotesi e’ stata abbracciata da Scott Stringer, presidente del consiglio di quartiere di Manhattan, che ha ordinato uno studio di fattibilita’ da presentare al sindaco Michael Bloomberg, entro la fine di Febbraio. “Non disponiamo di molta terra coltivabile, ma a Manhattan il cielo non ha limiti”, ha detto Stringer.

In una fase in cui gli Stati Uniti si apprestano a lanciarsi in un’opera di riconversione ecosostenibile delle metropoli, i sindaci sono disposti a sposare anche le idee piu’ futuristiche pur di ridurre la dipendenza da risorse straniere. Tra gli architetti di grido attratti dall’idea si distinguono invece il francese Pierre Satroux, l’americano Chris Jacobs, l’australiano Oliver Foster, il canadese Gordon Graff e il polacco Daniel Libeskind. I loro progetti sono degli ibridi architettonici con riferimenti stilistici che spaziano dai giardini pendenti di Babilonia alla Biosfera del deserto dell’Arizona con un tocco di SimCity e Second Life.

Ma non tutti sono entusiasti dell’idea di Despommier, che alla sua idea ha dedicato un sito internet. Secondo Jeffrey Kaufman, professore di Pianificazione urbana all’Universita’ del Wisconsin a Madison, Despommier tende a strafare. “Perche’ trenta piani? Sei basterebbero. Il concetto e’ interessante ma e’ estremizzato”. Per Armand Carbonell, direttore del Dipartimento di Pianificazione urbana del Lincoln Institute of Land Policy, il problema e’ di un altro ordine: a un costo nominale di circa 200 milioni di dollari l’impresa rischia di essere antieconomica. “Siamo sicuri – osserva Carbonell – che un pomodoro risucirebbe a battere un banchiere per l’affitto di di un grattacielo nella parte sud di Mahattan? Scommetto che il banchiere pagherebbe di piu'”.

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