Sindaci, date un volto digitale alle vostre città

I nuovi sindaci di città come Torino, Milano, Napoli e Bologna saranno i primi, almeno in Italia, a dover dedicare specifica attenzione a una nuova dimensione delle loro città. Oltre ad aspetti consueti la nuova leva di sindaci dovrà avere idee molto chiare in merito alla città digitale. Chi, infatti, nel 2011 voglia assicurare sviluppo […]

I nuovi sindaci di città come Torino, Milano, Napoli e Bologna saranno i primi, almeno in Italia, a dover dedicare specifica attenzione a una nuova dimensione delle loro città. Oltre ad aspetti consueti la nuova leva di sindaci dovrà avere idee molto chiare in merito alla città digitale.

Chi, infatti, nel 2011 voglia assicurare sviluppo economico e civile ai propri cittadini deve assicurarsi come mai in precedenza che questi ultimi siano in grado di sfruttare in pieno i benefici del digitale, la tecnologia portante di questo secolo. Come? Innanzitutto capendo che la città digitale è molto più di una mera questione di cavi e di computer, per quanto l’infrastruttura sia importante, anzi cruciale. La città digitale infatti è, tanto per cominciare, fatta di cittadini a loro agio col digitale indipendentemente da età e classe sociale. Questo è senza dubbio l’obiettivo principale: perché senza cittadini digitali tutto il resto è in larga parte inutile. La città digitale sono poi cittadini e visitatori in grado di accedere alla Rete a casa come in albergo, in biblioteca come in piazza, grazie a un mix di iniziative pubbliche e private. La città digitale è servizi online, dall’anagrafe alla sanità, servizi particolarmente preziosi per chi fa fatica a muoversi o per chi lavora. La città digitale è servizi via Web alle imprese, particolarmente le piccole, sulle quali la burocrazia pesa di più. La città digitale è memoria e cultura rese disponibili online: un archivio storico digitale che ricordi a cittadini vecchi e nuovi le radici del loro vivere insieme; biblioteche civiche che si aprono alla Rete; cura di come la città viene rappresentata online, dai siti istituzionali a Wikipedia, da YouTube a Facebook, perché nell’età di Internet quella è l’unica città che la maggior parte del mondo vede. La città digitale è integrazione: con molti nuovi cittadini provenienti da altre culture, la Rete è opportunità di inserimento nella vita della città. La città digitale è partecipazione democratica: massima apertura e trasparenza da parte dell’amministrazione comunale, ma anche forme nuove di coinvolgimento della cittadinanza nel progettare il futuro comune e arrivare a scelte condivise. La città digitale è «open data», ovvero tutti i dati prodotti dalla macchina comunale resi disponibili online gratis affinché chiunque li possa usare per idee innovative, sia imprenditoriali sia civiche. Dati sui trasporti, sull’ambiente, sui rifiuti, sui parcheggi, sugli orari degli esercizi commerciali e molto altro ancora: la città digitale li libera tutti, lasciando spazio all’innovazione. La città digitale si dota di sensori, ovvero genera bit e poi li usa per ridurre i consumi, per migliorare i trasporti, per contenere la spesa, per abbattere l’inquinamento. La città digitale facilita la creazione dei migliori posti di lavoro del futuro, che, come raccontato di recente dalla rivista americana Wired, sono quasi tutti legati al mondo del digitale. Sapendo che per farlo non occorrono colate di cemento o capitali immensi, perché il digitale ha bisogno soprattutto di cervelli, di bit e di ambienti congeniali – inclusi spazi pubblici moderni, come la nuova biblioteca di Seattle o quella di Salt Lake City. La città digitale è quella che favorisce l’applicazione del digitale a tutti i settori produttivi, anche quelli apparentemente più lontani dai bit, come l’artigianato o la moda: lì risiedono prospettive di sviluppo importanti per l’Italia.

Insomma, cultura, infrastrutture, economia, alfabetizzazione, inclusione, democrazia, lavoro: la città digitale è trasversale, tocca tutte le attività. Ecco perché i nuovi sindaci farebbero bene a porsi subito l’obiettivo di definire un’ampia agenda digitale per le loro città. Identificando non solo azioni chiave e obiettivi concreti, su cui relazionare ogni anno alla cittadinanza, ma anche nominando un/una «chief digital officer» che mantenga la visione d’insieme, colga sinergie, identifichi ridondanze, si impegni per il rispetto degli obiettivi e dei tempi. Non sarà facile: in un recente rapporto dell’Università di Oxford, infatti, non c’era neanche una città italiana tra le prime 36 città più connesse al mondo. I nuovi sindaci hanno, però, una grande occasione: lavorando bene fin da subito potranno tra cinque anni dire agli elettori che la prima, vera città digitale d’Italia è proprio la loro. Contribuendo così non poco al rilancio dell’Italia nel suo complesso.

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