Se non torna la Politica il mondo restera’ sottosopra

Il mondo sottosopra, scosso dalla Grande Crisi (sociale, finanziaria, ed economica) e dai suoi effetti che non saranno certo di breve periodo, ha trovato una nuova domanda chiave attorno alla quale ci si interroga e si discute: torna la Politica? E ancora: riuscirà a riconquistare il suo primato nelle singole nazioni, nei continenti e poi […]

Il mondo sottosopra, scosso dalla Grande Crisi (sociale, finanziaria, ed economica) e dai suoi effetti che non saranno certo di breve periodo, ha trovato una nuova domanda chiave attorno alla quale ci si interroga e si discute: torna la Politica? E ancora: riuscirà a riconquistare il suo primato nelle singole nazioni, nei continenti e poi nelle sedi internazionali chiamate a esprimere una governance globale? Già, perché senza il ritorno della Politica, eclissata per troppi anni dalla forza sovrastante di altri poteri, non sempre trasparenti, sarà difficile, se non impossibile, ritrovare una bussola per nuovi equilibri geopolitici, più stabili, più convincenti e innanzitutto più solidi di quelli attuali.

E resterà pura accademia intellettuale qualsiasi indicazione su una riforma del capitalismo che abbia il suo baricentro in un nuovo modello di sviluppo. In ciascuna parte del mondo, ecco l’autentica novità con la quale ci stiamo misurando, la domanda sul ritorno della Politica è sul tavolo, declinata con le singole specificità e con le relative incertezze. E ovunque sale la consapevolezza che una risposta dovrà, meglio prima che dopo, comunque arrivare. Gli Stati Uniti sono alle prese con una competizione elettorale che dovrà decidere la riconferma o meno di Barack Obama, e una sua eventuale seconda leadership alla Casa Bianca, ma in ogni caso, chiunque sarà il vincitore, l’America che vedremo al centro del campo della geopolitica avrà una sua bussola nel tentativo, già in atto, di ricostruire consenso, legittimità, ruolo, e dunque primato, della Politica, dopo gli schiaffi presi, per esempio, dalle lobby finanziarie e dall’avvitamento di un sistema economico e finanziario entrato in corto circuito, con enormi preoccupazioni per la coesione sociale del popolo americano. E la Grande Crisi, con le tempeste dei rischi-default di alcuni stati sovrani combinate con la realtà di un’economia in recessione, hanno dimostrato come gli Stati Uniti esprimono un bisogno sempre più impellente della sponda europea.

Già, ma quale sponda? Non certo quella di un’Europa prigioniera di burocrazie inconcludenti e asfittiche, irrisolta nella sua architettura istituzionale, priva di un’anima e di un numero telefonico (come diceva Henry Kissinger), divisa sull’evoluzione, sulla vision e sull’idea stessa alla base dell’Unione. Nel mondo sottosopra serve un’Europa governata dalla Politica, l’unica leva in grado, per esempio, di difendere e modernizzare, allo stesso tempo, il modello sociale europeo. Un’Europa, per capirci, che non sia più ridotta ad una gracile alleanza monetaria e commerciale. E anche nel Vecchio Continente, come in America, ci sono importanti elezioni in agenda nei prossimi mesi (a partire da Francia, Germania e Italia: i paesi tornati avanguardia della locomotiva), con le quali, dobbiamo tutti augurarcelo, si affermeranno leadership chiamate a scegliere una strada, ed una sola, rispetto al bivio.

O si fa il salto di un’Europa più integrata, attraverso appunto le scelte della Politica, oppure l’alleanza si sfarina e le lancette della storia tornano indietro di molti decenni. Una terza strada non c’è, e anche se ci fosse non sarebbe praticabile. La Politica bussa alle porte, e non ha lo sguardo di una fantasma quanto le sembianze di una necessità, di quei paesi del Bric che ormai nessuno può avere la leggerezza di chiamare “paesi in via di sviluppo”, considerando la forza trainante delle economie di Brasile, Russia, India e Cina, e il loro peso specifico nella formazione del pil mondiale. Senza fare eccessivi esercizi di retorica, e utilizzando soltanto gli strumenti dell’analisi e della logica, anche nell’universo del Bric il ritorno della Politica è abbinato a tumultuosi cambiamenti, non decifrabili in modo omogeneo, ma tutti di fortissima intensità.

La Cina, un altro paese al centro del campo della geopolitica, vede avvicinarsi l’ora di un cambio della guardia al vertice della catena di comando del potere comunista di Stato, partito e popolo, e la scommessa interna, che avrà poi decisivi riflessi internazionali, è quella di riuscire a rendere sostenibile il boom economico di questi anni. Di abbinare, cioè, il benessere alla felicità; la potenza e la forza alla democrazia, per quanto incompiuta; lo sviluppo e la crescita al rispetto di regole di civiltà, di concorrenza e di trasparenza. Solo la Politica, quella appunto con la prima lettera maiuscola, potrà dirci se e come la Cina troverà una strada per uscire dalle sue contraddizioni e riuscirà a sedersi al tavolo della governance globale schiarendo le nubi che invece, al momento, si addensano nei suoi rapporti con l’America e con l’Europa.

L’India è alle prese con problemi analoghi, rispetto alla Cina, di gestione della sua esplosiva crescita economica, mentre il ritorno della Politica qui si traduce nella necessità di diminuire la corruzione all’interno del sistema e di individuare una nuova leadership, non solo dinastica, per governare il Paese con equilibrio ed efficacia. La Russia è al centro di forti tensioni popolari che mettono in discussione il modello zarista e dunque si traducono in nuove forme di partecipazione alla vita pubblica e in nuove forme di organizzazione della Politica. Il Brasile dovrà dare certezze al mondo sottosopra rispetto al fatto che il suo miracolo economico, governato finora grazie a una Politica non eclissata, non è un fenomeno di puri numeri ma contiene anche un modello democratico prezioso per l’intera area del Sud America.

Quanto al mondo arabo e alla sua primavera, certamente il 2011 è stato un anno straordinario, con cambiamenti epocali che hanno investito il Medio Oriente e il Nord Africa. Un uragano di sconvolgimenti e di transizioni, di regimi caduti e non ancora ricostruiti con nuovi paradigmi, di transizioni incertissime, di violenze orrende e di rivolte che hanno visto la discesa in piazza di intere generazioni di cittadini. L’evoluzione della primavera araba, che nessuno può già scolpire con previsioni certe e tutti dobbiamo considerare ad altissimo rischio geopolitico, avrà la sua cifra, come il resto del mondo sottosopra, proprio attorno alla risposta alla domanda iniziale: torna, e in questo caso dovremmo dire Arriva, la Politica? Saranno in grado queste nazioni, o almeno la maggior parte di esse, di avviarsi in modo compiuto sulla strada della democrazia, senza invece alimentare conflitti che potrebbero diventare incompatibili con la sicurezza del Pianeta? E sarà innanzitutto la Politica, con il suo ritorno, a fornire la cassetta degli attrezzi, cioè idee e uomini, per ricostruire un equilibrio mondiale, che affaccia la sua sfera di influenza sull’America, sull’Europa, sull’area del Bric, sui paesi arabi, per rimettere ordine, sì: ordine, nel rapporto tra democrazia e capitalismo. Perché una cosa abbiamo capito bene, e certo non possiamo scansare il problema: il capitalismo della globalizzazione e dell’innovazione che polarizza in modo eccessivo la distribuzione dei redditi e allarga la forbice tra ricchi e poveri, tra inclusi ed esclusi, tra welfare per pochi e precarietà per tanti, non può funzionare. Non ha futuro. E rischia di lasciare il mondo ancora molto a lungo, troppo a lungo, sottosopra.

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