La scoperta dell’acqua fresca. Forse non era difficile immaginare la sua presenza nel sottosuolo di un’area davanti al mare. Di più, in quella che sta per di diventare la piazza di mare più grande d’Europa, la nuova piazza della Libertà a Salerno, disegnata dall’archistar Ricardo Bofill, col corredo – contestato duramente da ambientalisti e dalle associazioni di cittadini – del monumentale caseggiato semicircolare da quasi 30 metri altezza e 215 di estensione chiamato ‘Crescent’. Si tratta del serpentone di cemento da 90.000 metri cubi sul quale la Procura di Salerno ha aperto un’inchiesta per abuso d’ufficio che vede indagati il sindaco Vincenzo De Luca e l’ex soprintendente Giuseppe Zampino.
Un po’ d’acqua in effetti è sfuggita ai sondaggi dei professionisti che hanno redatto i progetti preliminari ed esecutivi della piazza che accoglierà il Crescent, definito da Vittorio Sgarbi “una delle dieci cose più brutte del mondo”. Troppa acqua sotto lo slargo di tante polemiche. E De Luca, che invece è convinto che il Crescent rappresenterà per Salerno l’equivalente del Colosseo per Roma, insieme alla sua giunta ha dovuto metterci una pezza, approvando con la delibera 177 una perizia di variante che farà lievitare di circa 8 milioni di euro i costi dell’intervento. Fondi necessari, si legge nel corpo del provvedimento, “per potenziare le misure di impermeabilizzazione delle strutture interrate, in relazione ai livelli di falda rilevati in corso d’opera, maggiori dei corrispondenti riscontrati all’epoca della progettazione”.
Traduzione: non s’erano accorti di quanta acqua passa lì sotto. Di fronte al mare di Salerno. Una vicenda che irrita il comitato No Crescent, autore dell’esposto che ha dato il via all’inchiesta penale e che ora annuncia di voler spedire tutti gli incartamenti della variante alla Corte dei conti: “I gravissimi rischi connessi alla costruzione di piazza della Libertà, e ancor di più dell’enorme caseggiato Crescent, da anni sono stati previsti e puntualmente denunciati da noi e da Italia Nostra – si legge in una nota – si tratta di rischi che nei ricorsi promossi innanzi al Tribunale amministrativo cittadino sono segnalati nelle relazioni tecniche elaborate dai geologi del movimento No Crescent”. Secondo gli esponenti del No Crescent “non è possibile dire che siamo di fronte a eventi imprevedibili. Già nella fase preliminare e in quella definitiva esistevano tutte le evidenze e le prove della presenza di una falda idrica molto superficiale nell’area del cantiere”. Però, affermano dal comitato presieduto dall’avvocato Pierluigi Morena, “non sono bastati i tre milioni di euro spesi in progettazione per considerare quanto già risultava dalle indagini geologiche realizzate: i pericoli gravissimi di dissesto e le difficoltà esecutive per la presenza della falda idrica”.
A proposito del ricorso al Tar promosso da Italia Nostra, la discussione dell’udienza cautelare è prevista a breve. L’obiettivo è quello di ottenere la sospensiva e di impedire così l’inizio dei lavori dell’edificio (quelli della piazza sono già in corso). Il ricorso si fonda su alcune presunte irregolarità nella procedura di vendita dell’area di Santa Teresa alla società Crescent srl. Procedura viziata, secondo gli ambientalisti, perché compiuta senza la completa ”sdemanializzazione” dell’area. Circostanza che per i legali di Italia Nostra non è stata mai confutata dall’ente municipale agli atti del giudizio.
Il ricorso verrà discusso dinanzi alla Prima Sezione del Tar di Salerno, composta dal Presidente Antonio Onorato, relatore il Consigliere Palliggiano. “Abbiamo fiducia nella Giustizia” afferma Raffaella Di Leo, presidente di Italia Nostra, “e crediamo nella opportunità della sospensione dei lavori perché laddove riscontrata successivamente qualche illegittimità saranno a carico dell’Erario i versamenti a favore della Crescent Srl per le opere che intanto verranno realizzate”.
“Inoltre auspichiamo”, continua Raffaella Di Leo, “che questa vicenda non ripercorra la strada del Fuenti, di Punta Perotti e più recentemente dell’ecomostro sulla Mingardina per i quali le istituzioni hanno prima consentito la realizzazione delle opere e poi hanno disposto onerosi abbattimenti per riconosciuto scempio paesaggistico”.
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