La Campania è una delle regioni con la produzione di rifiuti urbani pro capite minore in Italia, ed in costante diminuzione ormai da anni. Appena 468 kg annui a testa, contro i 494 del Veneto, i 518 della Lombardia, i 677 dell’Emilia Romagna, i 704 della Toscana (dati Osservasalute 2011). La Campania dichiara inoltre di essere priva di discariche per rifiuti industriali, mentre il nord questo tipo di impianti ne conta a centinaia (68 nel solo Veneto, 43 in Lombardia, 25 in Emilia, 21 in Toscana).
Sembrano notizie positive, le prove di un ciclo virtuoso in Campania capace di ridurre a monte rischi e fetenzie. Sono le notizie che emergono dai dati del “benchmarking“ in materia di rifiuti tra cinque tra le più grandi regioni d’Italia. Uno studio diffuso qualche giorno fa durante una riunione a Napoli nella sede dell’Isde, l’associazione internazionale dei medici per l’ambiente, alla presenza di ambientalisti, studiosi e del magistrato Donato Ceglie, ex pm di alcune delle principali inchieste sulle ecomafie.
La realtà ci racconta invece una Campania altamente inquinata e devastata dalle continue emergenze immondizia. E il motivo forse si annida proprio nelle pieghe di quello studio, che a leggerlo con attenzione dice altro. A sorpresa, il documento dimostra che la Campania potrebbe non avere bisogno dei nuovi inceneritori compresi nel piano regionale. Perché già ora brucia 100 chili di rifiuto pro capite, una media inferiore solo alla Lombardia (274) e all’Emilia (223), superiore ai 40 del Veneto e ai 98 della Toscana (come afferma da sempre il vicesindaco di Napoli Tommaso Sodano, è terza in Italia come capacità di incenerimento). Questo perché il solo impianto di Acerra incenerisce più immondizia di tutti gli otto impianti toscani e appena 300mila tonnellate annue in meno di tutta l’Emilia, che anch’essa vanta otto termovalorizzatori.
Invece il piano approvato nel consiglio regionale campano prevede la realizzazione di altri 4 impianti per una potenza complessiva di incenerimento sino a 2 milioni di tonnellate l’anno a fronte di una produzione totale di rifiuti solidi urbani di non oltre 2,4 milioni nel 2011. Per la precisione, si tratterebbe di tre termovalorizzatori e un gassificatore tra Napoli, Salerno, Giugliano e Capua. Cio’ condurrebbe la Campania alla leadership nazionale: ben 340 kg di incenerito a testa per anno, pari a circa l’85% del totale 2011 di rifiuto solido urbano (rsu). “Il timore è che la costruzione di tanti e così sovradimensionati inceneritori serva a smaltire anche rifiuti industriali – afferma Antonio Marfella, leader napoletano dell’Isde e autore dello studio comparativo – qui infatti discariche per questo tipo di rifiuto non ce ne sono. Siamo sicuri che le imprese campane lo esportino o lo riciclino tutto? Dove vanno a finire tutti i 4.5 milioni di tonnellate di rifiuti industriali campani? Peraltro basta leggere le pagine da 265 a 268 del piano campano per rifiuti industriali per apprendere che il gassificatore di Capua sarebbe un impianto perfetto per trattare ceneri leggere di inceneritori e fibre di amianto per rendere inerti e vetrificarle. E’ un altro impianto ancora da proporre o è quello già proposto da ubicare al centro della bellissima e antichissima Capua? Infine: se tra Napoli, Giugliano e Acerra si vogliono bruciare 1.6 milioni di tonnellate annue, con la scusa delle ecoballe stoccate, rispetto a una produzione totale di 1.5 milioni di tonnellate di rsu di tutta la Provincia di Napoli , significa che ogni incremento di differenziata servirà a fare spazio alla importazione in Campania di rifiuti extraregionali, ovviamente non urbani ma industriali, come accade già oggi in Lombardia?”.
In sostanza, dietro il piano rifiuti e le attuali politiche regionali e sovraregionali si anniderebbe un rischio grave. L’assenza di discariche per scarti industriali provocherà discariche urbane sempre più infiltrate da rifiuti tossici capaci di inquinare falde e atmosfera. E altri scarti pericolosi potrebbero finire negli inceneritori. “Potenziare l’incenerimento e non il compostaggio può servire a questo – denuncia Marfella – gran parte del rifiuto tossico è indifferenziato e per lo più simile all’”umido” dei rsu e può finire senza controlli adeguati nei maxi forni o nei gassificatori senza essere identificato. Si rischia di istituzionalizzare la Campania come discarica industriale di Italia”.
Mentre la Campania avrebbe bisogno d’altro. Di impianti capaci di trattare gli scarti industriali, e di impianti di compostaggio per l’umido che scongiurino la produzione del velenosissimo percolato. Qui la Campania è fanalino di coda: ‘composta’ appena 3 kg pro capite/annui, contro i 141 dei cittadini veneti, gli 83 dei lombardi, gli 82 degli emiliani e i 68 dei toscani. Perché?