Quale futuro per gli ospedali? Da macchine energivore a organismi viventi e sostenibili

“La qualità dell’ambiente in cui viviamo è fondamentale per il nostro benessere”, afferma lo scrittore Alain De Botton nel suo libro Architettura e Felicità. “Gli edifici non sono solamente oggetti visivi senza legami con concetti che possiamo analizzare e quindi valutare, ma parlano di argomenti che si possono comprendere facilmente”. Ora, in piena crisi del […]

“La qualità dell’ambiente in cui viviamo è fondamentale per il nostro benessere”, afferma lo scrittore Alain De Botton nel suo libro Architettura e Felicità. “Gli edifici non sono solamente oggetti visivi senza legami con concetti che possiamo analizzare e quindi valutare, ma parlano di argomenti che si possono comprendere facilmente”. Ora, in piena crisi del sistema ospedaliero nazionale – sia per l’inadeguatezza delle strutture sanitarie che per una domanda di servizi in continua crescita – che cosa potrebbero “raccontare” di buono, al paziente, questi edifici pubblici? Per evitare un racconto da incubo, sarebbe forse tempo di ripensare il progetto ospedaliero stesso dalle fondamenta: dall’analisi dell’utenza alla definizione delle unità necessarie, fino alla valutazione delle condizioni ambientali di lavoro, del personale, e di degenza, del paziente. Solo un percorso di questo tipo sembra poter assicurare interventi di qualità, sia nella progettazione di nuove strutture che nella (necessaria) riqualificazione di quelle esistenti. Se n’è parlato a Milano, il 29 febbraio, in occasione del forum “Architetture per la Sanità. Progettare e costruire spazi per la salute”.

Francesco Averlino, scultore e architetto fiorentino del Quattrocento, detto il Filarete, descriveva così il suo progetto per l’Ospedale Maggiore – oggi Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – voluto dallo Sforza : “Io ti mostrerò l’edificio essere proprio un uomo vivo e vedrai che così bisogna a lui mangiare per vivere, come fa proprio l’uomo: e così s’amala e muore, e così anche nello amalare guarisce molte volte per lo buono medico”.

La stretta simbiosi tra paziente, medico, struttura ospedaliera e ambiente esterno non è dunque un concetto nuovo. E la patria natia dell’architetto rinascimentale resta, effettivamente, anche oggi all’avanguardia, grazie alla particolare attenzione verso le innovazioni progettuali e gestionali dei luoghi di cura. Il Centro Studi Progettazione Edilizia – CSPE – studio professionale nato a Firenze, nel 1975, per sviluppare ricerche, studi, progettazione e consulenze nel settore degli interventi della sanità e del sociale – è stato tra i primi ad operare una sorta di revisione complessiva dell’architettura dei sistemi sanitari: l’ospedale è passato, in questa nuova concezione, da macchina a spreco energetico a struttura per la valorizzazione del territorio e la conservazione e produzione energetica. Il vecchio ospedale, luogo chiuso e monolitico, è diventato cioè, in questa rilettura, una struttura multifunzionale e flessibile, più “umanizzata” per la cura del paziente e meno impattante in termini ambientali.

Nel capoluogo toscano è un caso esemplare il Centro Oncologico Fiorentino (ristrutturato tra il 2005 e il 2009), dove la sfida è stata recuperare una villa seicentesca e integrarla con un nuovo padiglione, per creare condizioni di diagnosi e cura competitive con i più avanzati centri clinici, senza dimenticare tuttavia le priorità del costruire sostenibile – grazie, ad esempio, a superfici vetrate a tutt’altezza, che funzionano da accumulo termico e concorrono al riscaldamento passivo della camera di degenza. Sempre oggetto di intervento del CSPE è stato il Polo Pediatrico Meyer a Careggi, in Provincia di Firenze, dove, tra il 2000 e il 2007, è stata realizzata un’integrazione tra tecnologia e compatibilità ambientale, per dare vita a un progetto ospedaliero innovativo e sostenibile, in grado di trasformare il modo di vivere e di gestire gli spazi, rispettando le delicate esigenze della psicologia infantile.

Ma anche altrove i buoni esempi non mancano. Il nuovo Ospedale di Bergamo Beato Giovanni XXIII, del 2005, ideato dallo Studio Progettisti Associati Tecnarc per conto di tutti i principali Enti Pubblici, dal Ministero della Salute alla Regione Lombardia, è un esempio di ottima progettazione ospedaliera. Qui il benessere climatico percepito è risultato buono in tutte le stagioni e gli impianti sono stati previsti secondo le più moderne tecnologie, per perseguire l’idea di un ospedale nel verde, che sia aperto e rispettoso dell’ambiente, ma molto funzionale.

In ambito internazionale ha fatto scuola il progetto del Maggie’s Cancer Center di Glasgow del noto studio OMA di Rem Koolhaas. I Maggie’s Center sono una catena di centri, diffusa in tutto il Regno Unito, dove vengono offerte, ai malati di tumore, assistenza e tranquillità. Il centro progettato da Koolhaas è dunque pensato per stemperare l’atmosfera asettica dei reparti oncologici statali e presenta, oltretutto, soluzioni architettoniche sostenibili dal punto di vista ambientale. Anche questa struttura dialoga con la natura circostante, mantenendo tuttavia un’identità propria, e facendosi piuttosto espressione di una connessione tra architettura e paesaggio.

Il Life Medicine Resort, in Austria, sorge invece in una località storica nota per le cure termali. La presenza del paesaggio naturale e la sua valorizzazione hanno quindi influito nell’ideazione del nuovo centro terapico, caratterizzato da un forte andamento frastagliato che rimanda un po’alle forme naturali dei fiordi. Nella sua progettazione sono stati considerati tutti gli interventi per mitigare l’impatto ambientale dell’edificio (come il tetto verde per il controllo del microclima interno e i pannelli solari per la riduzione delle spese energetiche) e a rispettare il contesto paesaggistico, con lo scopo di far sembrare il centro di cura il meno possibile un ospedale.

Purtroppo gli esempi citati rappresentano ancora una casistica in minoranza, a livello europeo, rispetto ai mostri monolitici ed inefficienti ancora presenti. Rivedere subito il progetto delle strutture sanitarie è però una missione urgente e non ulteriormente dilazionabile: cercare di comprendere i cambiamenti in atto in ambito ospedaliero è il punto di partenza per una revisione integrale del sistema, attualmente in grave crisi. Bisognerà considerare in primis l’importanza della flessibilità di progetto, sia da un punto di vista strutturale che organizzativo. Lo spazio ospedaliero dovrà, infatti, essere in grado di soddisfare le necessità assistenziali dei pazienti, ma anche rappresentare il luogo dell’avanzamento della ricerca medica e scientifica. E’ tempo, in definitiva, di ripensare l’ospedale, non tanto come una machine à guérir, ma come luogo di conforto e di contatto umano, dove i principi del green thinking e della sostenibilità diventino un linguaggio architettonico formale, integrato ad accorgimenti di tipo funzionale e gestionale. Questo, in futuro, dicono gli esperti, sarà il significato di “progettare un ospedale”.

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