Passera: E’ crollata l’ideologia del mercato.

MILANO – Un lettore canadese ha raccontato al Financial Times di aver suggerito a sua nipote di 8 anni di portare in banca i 250 dollari messi assieme tra regali e mance. Ma la bambina lo ha freddato con una risposta secca: “No, nonno. Non ho fiducia nelle banche”. Racconto la storiella a Corrado Passera […]

MILANO – Un lettore canadese ha raccontato al Financial Times di aver suggerito a sua nipote di 8 anni di portare in banca i 250 dollari messi assieme tra regali e mance. Ma la bambina lo ha freddato con una risposta secca: “No, nonno. Non ho fiducia nelle banche”. Racconto la storiella a Corrado Passera di ritorno da Davos e gli chiedo da dove debbano ripartire banche e capitalismo. Dalla responsabilita’ di cooperare per il bene comune e’ la risposta.

Democrazia e capitalismo sono una conquista della nostra civilta’ occidentale. Il nostro modello economico, che ha permesso l’uscita dalla miseria di miliardi di uomini e donne, perche’ ha saputo evolversi di continuo. Ora deve imparare dai suoi piu’ recenti errori, evitare gli eccessi e diminuire le ingiustizie . Vista cosi’, la crisi e’ persino una grande occasione per toglierci di dosso quella che Passera chiama l’ultima ideologia. Il mercato e’ un formidabile strumento ma parecchi dogmi sono caduti: la somma degli interessi individuali non porta sempre al bene comune, il gioco di domanda e offerta non sempre porta a prezzi significativi, la concorrenza non sempre porta all’equilibrio ma, anzi, – se non regolata – porta a bolle dove pochi guadagnano tanto e tanti perdono tutto.

Detto questo dobbiamo lavorare
a un capitalismo piu’ giusto e responsabile. La Storia non e’ finita nemmeno questa volta. Si riparte da un mondo che a Davos si e’ mostrato multipolare come non mai. Benvenuto, dunque, Mr. Obama, gli Usa continueranno ad avere un ruolo prioritario con il loro 19% del Pil del globo, ma senza coinvolgere Cina, India e Russia non lo si governa . Il G8 andra’ in pensione e verra’ sostituito probabilmente dal G20. Il rammarico e’ che anche al Forum l’Europa e’ parsa disunita, debole, non all’altezza del ruolo che potrebbe avere. Gli orizzonti strategici si ampliano e la Ue purtroppo gioca solo di rimessa, nonostante tutti riconoscano che il modello europeo, mercato piu’ tutela sociale, sia la via da seguire.

Capitalismo responsabile
non e’ per Passera una contraddizione in termini. Anzi, e’ una proposta per governare modernita’ e globalizzazione. Chi pensa che la globalizzazione vada fermata per superare la crisi, sbaglia di grosso. Anzi, se vogliamo ricostruire la fiducia a livello planetario, dobbiamo chiudere in tempi brevissimi il Doha Round. La peggiore delle cure sarebbe il protezionismo: gia’ una volta ha gettato il mondo nella Depressione. Chi ne parla sembra dimenticare che le nostre migliori aziende dipendono per oltre il 50% dalle esportazioni. L’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo pensa che avere un manifatturiero ampio e diffuso sia una benedizione e chi voleva superarlo per crescere solo nei servizi aveva evidentemente torto. Lo dimostra la storia della Total di Grimsby. Gli inglesi hanno rinunciato alla loro industria e sono costretti a dar lavoro alle aziende straniere specializzate. Noi dovremmo valorizzare il manifatturiero competitivo: dare risorse e agevolazioni a chi investe nella propria azienda, la internazionalizza e magari la fonde con un’altra.

Ma, obietto, un capitalismo responsabile che si ricandida a guidare il mondo ha bisogno di una classe dirigente capace di visione e in possesso di un’etica personale e pubblica. Invece le cronache sono piene di fatcats, di manager ingrassati a colpi di bonus miliardari e insensibili al bene comune. Soprattutto nei paesi anglosassoni – risponde Passera – i sistemi di governance, tanto adulati dagli aedi di casa nostra, hanno creato sistemi di retribuzione abnormi che hanno esasperato l’orientamento al brevissimo termine ed esclusivamente al cosiddetto shareholders value. E’ una stagione finita, certi comportamenti sono stati giustamente cancellati. Ma le stock option le avete copiate anche in Italia e anche lei ne ha usufruito. Le stock option sono uno strumento utile se bene utilizzate mentre portano a risultati molto negativi se usate male. Mettere in condizione i manager di comprare nel tempo azioni della societa’ che gestiscono non e’ sbagliato. L’importante e’ che le quantita’ siano ragionevoli, i meccanismi di assegnazione siano legati ai risultati di medio periodo e le tempistiche di vendita successiva premino la fedelta’ all’azienda. Io sono addirittura di quelli che credono che un capo azienda debba tenere tutte le azioni che ha potuto comprare fino a quando mantiene la sua posizione.

Il banchiere racconta che a Davos si e’ parlato del miliardo di giovani che in tutto il mondo cerca di entrare nel mercato del lavoro e dispera di riuscirci. Il rischio e’ che la crisi tuteli chi e’ gia’ tutelato e crei un’economia senza giovani. E faccia dell’Italia un Paese di giovani, di donne e di non-ancora-vecchi inattivi. Oggi chi e’ fuori dal mercato del lavoro e i precari pagano i privilegi e le rigidita’ di una parte di coloro che il lavoro ce l’hanno: ben vengano il contratto unico e le proposte del professor Ichino! Piu’ in generale, se vogliamo costruire l’Italia di domani dobbiamo pero’ affrontare finalmente i nodi strutturali della nostra societa’: l’eguaglianza dei punti di partenza, la scuola, la ricerca, la meritocrazia, la mobilita’ sociale. Volete una societa’ piu’ aperta ma poi le banche sono accusate di dare i soldi sempre e solo ai soliti noti. Un nome per tutti: la Fiat. Pensa davvero che finanziamo Torino per scelta ideologica? Non e’ cosi’. La Fiat ha fatto un grande lavoro di ristrutturazione e rilancio e a fronte di progetti industriali seri noi ci siamo stati. Ricordo la primavera del 2003: ero da poco entrato in banca e scoppio’ il caso Fiat. Facemmo bene ad insistere per trovare una soluzione finanziaria che desse al gruppo un futuro. Non stiamo parlando di una sola azienda ma di un settore fatto di migliaia di aziende e di centinaia di migliaia di occupati.

Ma non un soldo che andra’ a Torino verra’ tolto alle piccole imprese, assicura Passera. Cita i dati di Intesa Sanpaolo: 200 miliardi di affidamento alle piccole e piccolissime, 120 alle medie e grandi aziende. In Italia non siamo al credit crunch, anche a gennaio – cosi’ come nel 2008 – come banca abbiamo aumentato l’ammontare di credito erogato malgrado il forte calo della domanda di finanziamenti e la forte crescita della rischiosita’. Dai prossimi giorni faro’ un giro dell’Italia per spiegare ai nostri 8000 responsabili sul territorio che malgrado la crisi non ci tiriamo indietro. Ma i Tremonti bond poi alla fine li prenderete o no? Costano troppo? Apprezziamo il lavoro del Tesoro e stiamo dando il nostro contributo per una soluzione equilibrata. Altri Paesi hanno dovuto fare operazioni di salvataggio, in Italia invece si sta solo valutando l’ipotesi di rafforzare il patrimonio delle banche perche’ possano crescere di piu’ e sostenere ancora meglio l’economia reale. Passera pensa a un’operazione temporanea e che i soldi possano essere restituiti in capo a 2-3 anni ma se il meccanismo fosse troppo costoso non ce lo potremmo permettere: le autorita’ europee, che hanno l’ultima parola, dovrebbero, a mio parere, favorire di piu’ questo tipo di operazioni.

E se alla fine questi bond
restassero nel cassetto del Tesoro? Si sara’ persa un’occasione, perche’ se avremo meno patrimonio potremo erogare meno credito e potremo dare un contributo inferiore al superamento della crisi. Guai pero’ a ripetergli la litania corrente secondo la quale le banche italiane si sono salvate perche’ antiquate. Arretrati perche’ non abbiamo fatto finanza creativa? Perche’ abbiamo cercato di coniugare credito e responsabilita’, perche’ abbiamo diffidato dell’eccessiva crescita a debito? Che avrei dovuto fare quando mi portavano ad esempio la Northern Rock che dava i prestiti a 30 anni e raccoglieva risorse sull’interbancario a tre mesi? O quando le banche di investimento facevano operazioni con un effetto leva pari a 60?. Tempo fa Passera propose un piano di 250 miliardi da spendere in 5 anni per finanziare opere infrastrutturali, incentivare investimenti privati e assicurare ammortizzatori sociali alle fasce non coperte. Il ministro Tremonti e il governo hanno scelto un’altra strada per non compromettere l’immagine rigorista di un Paese che dovra’ tra breve chiedere ai risparmiatori di sottoscrivere i suoi titoli di Stato. Lei e’ rimasto della stessa opinione? Sono preoccupato anch’io dello spread tra i nostri Btp e i bund, cosi’ come trovo sensatissima l’idea di dar vita a una sorta di eurobond per finanziare i grandi progetti risponde.

Ma, aggiunge
, siamo sicuri di non poter fare di piu’ per recuperare l’enorme ritardo infrastrutturale che abbiamo accumulato e che necessiterebbe di quell’ammontare di impegni? 50 miliardi di euro all’anno sono tanti, ma non poi cosi’ tanti se mettiamo insieme cio’ che il Cipe ha gia’ avviato, gli stanziamenti gia’ programmati per Fs e Anas, i fondi Bei. Forse si potrebbe razionalizzare il 10% dell’attuale spesa sul territorio per opere pubbliche, dismettere l’1% del patrimonio pubblico, recuperare il 2-3% di sprechi nella spesa pubblica. E attirare fondi privati: noi abbiamo creato una banca specializzata proprio nelle infrastrutture e nelle partnership tra pubblico e privato. Mi rendo conto delle difficolta’, ma se non riattiveremo una fase di crescita sostenibile i conti pubblici andranno comunque a gambe all’aria. Ma il sindaco di Torino Chiamparino accusa che sono stati buttati per l’Alitalia 3 miliardi di soldi pubblici. Se fosse fallita, lo Stato se ne sarebbe probabilmente dovuti sobbarcare il doppio e avrebbe avuto alcune decine di migliaia di disoccupati in piu’. Lo dico senza polemica.

KuBet
KUBet - Trò chơi đánh bài đỉnh cao trên hệ điều hành Android
Torna in alto