Si chiama “Fat Tax”, letteralmente “tassa sul grasso”. A introdurla è stata qualche giorno fa la Danimarca, nel disperato tentativo di contrastare il fenomeno dell’obesità in costante aumento. Il Paese danese diventa quindi il primo in Europa, anzi al mondo, a inserire una tassa sui grassi saturi, causa dell’aumento del livello di colesterolo nel sangue e quindi della diffusione di malattie cardiovascolari.
E già si parla di effetto domino, visto che la Fat Tax sta attraversando l’Europa alla velocità della luce. Gitte Hestehave, portavoce della Confederazione degli industriali danesi, ha anticipato che alcuni Paesi stanno chiedendo informazioni pratiche al governo di Copenaghen. In parole povere, la Fat Tax aumenterà di circa 2 euro il prezzo di quegli alimenti “che fanno più male”, ovvero quelli più ricchi di grassi saturi, ad esempio burro, carne, latte, margarina, salumi ed oli. Secondo un calcolo approssimativo fatto dai media danesi, una confezione di burro da 250 grammi costerà circa 2,43 euro in più e un litro d’olio d’oliva salirà di 5,59 euro.
Una buona mossa, secondo i dietologi del Paese, che non mira al solo a tutelare la salute dei cittadini danesi ma anche, e forse soprattutto, a ridurre i costi del sistema sanitario nazionale. Secondo uno studio dell’Ocse del 2010, una persona obesa comporta costi sanitari superiori del 25% rispetto a una persona di peso normale, una cifra di tutto rispetto se si pensa che curare l’obesità costa dall’1 al 3 per cento dell’intera spesa sanitaria nazionale.
Ma sempre secondo l’Ocse, quella della Danimarca non è di certo la situazione più critica in Europa. Senza tirare in ballo gli Stati Uniti, il Paese “obeso” per eccellenza, basta guardare al di là della Manica per rendersi conto quanto l’Europa soffra di questo problema. L’alta percentuale dei britannici in sovrappeso ha spinto il Premier David Cameron a confessare che anche al 10 Downing Street si sta considerando “l’introduzione di una Fat Tax, sia per contenere i costi del sistema sanitario nazionale che per mettere un freno alla riduzione dell’aspettativa di vita nel Paese”.
“Onestamente, abbiamo un reale problema di obesità in aumento? Sì. Se guardiamo all’America, abbiamo un esempio di cosa potrebbe succedere se non interveniamo tempestivamente? Un’altra volta sì”, ha ammesso pubblicamente Cameron. E questo sia in termini di salute che di costi. Secondo il report “The Public Health and Economic Benefits of Taxing Sugar-Sweetened Beverages” pubblicato dal magazine The New England Journal of Medicine, una tassa di 1 centesimo per oncia di bevanda zuccherata potrebbe ridurre il loro consumo addirittura del 25%.
Ma il problema non riguarda solo il Nord Europa. In Italia, stando agli ultimi dati Istat, ci sono ben 4 milioni di obesi, con un costo per la comunità di 8,3 miliardi di euro. Un’emergenza che riguarda anche i giovanissimi. L’obesità colpisce un bambino su 3, e in alcune regioni, come la Campania, si sfiora il 49%. Secondo Valerio Nobili, Responsabile epatopatie metaboliche e autoimmuni dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, “un bambino obeso ha un’elevata probabilità di avere un fegato grasso e altri problemi cronici e progressivi, come infiammazione, steatosi e fibrosi, che compromettono la struttura dell’organo stesso fino alla perdita totale della sua funzione”.
Proprio un gruppo di ricerca coordinato dell’Ospedale del Bambin Gesù ha messo a punto formula matematica che permette di evitare il ricorso alla biopsia al fegato, un test diagnostico sicuramente invasivo ma l’unico finora in grado di confermare la presenza della malattia. Di questa tecnica e di altri mezzi per contrastare l’obesità in Europa, se ne parlerà alla 19ma edizione della Settimana Internazionale di Gastroenterologia in programma a Stoccolma il 22-26 ottobre.
Vuoi conoscere una selezione delle nostre notizie?
- Iscriviti alla nostra Newsletter cliccando qui;
- Siamo anche su Google News, attiva la stella per inserirci tra le fonti preferite;
- Seguici su Facebook, Instagram e Pinterest.