Obama: “Gli Usa usciranno più forti che mai dalla crisi”

WASHINGTON – “Noi ricostruiremo, noi ci riprenderemo e gli Stati Uniti d’America torneranno piu’ forti di prima”. Interrotto dagli applausi scroscianti del Congresso Barack Obama ha parlato ieri sera all’America, non nascondendo le difficolta’ del momento ma invitando tutti a rimboccarsi le maniche e ad affrontare la crisi in modo costruttivo e ambizioso. Nel suo […]

WASHINGTON – “Noi ricostruiremo, noi ci riprenderemo e gli Stati Uniti d’America torneranno piu’ forti di prima”. Interrotto dagli applausi scroscianti del Congresso Barack Obama ha parlato ieri sera all’America, non nascondendo le difficolta’ del momento ma invitando tutti a rimboccarsi le maniche e ad affrontare la crisi in modo costruttivo e ambizioso.

Nel suo primo discorso alla nazione (“voglio parlare francamente e direttamente agli uomini e alle donne che ci hanno eletti”) ha promesso nuovi sforzi (e ulteriori finanziamenti) per energia, sanita’ ed istruzione, ha ribadito che “l’America non tortura” e ha confermato gli aiuti per l’auto: “Chi in passato ha sbagliato non verra’ protetto, ma ci impegniamo a ricostruire e a ricreare una industria che possa competere e vincere. E sono convinto che la nazione che ha inventato l’auto non puo’ lasciarla perdere”.

E’ stato un appello ‘bipartisan’, lanciato con toni reaganiani (o da ‘New Deal’di Roosevelt) e con l’ottimismo che lo contraddistingue, nella convinzione che “il peso della crisi non determinera’ il destino” degli Stati Uniti. Parole scelte con cura per solleticare l’orgoglio e il nazionalismo dei cittadini della prima potenza mondiale: “Le risposte ai nostri problemi non sono fuori dalla nostra portata. Esistono nei laboratori e nelle universita’, nei nostri campi e nelle nostre fabbriche, nell’immaginazione dei nostri imprenditori e nell’orgoglio dei nostri lavoratori, i migliori del mondo.
Queste qualita’ hanno fatto dell’America la piu’ grande forza di progresso e prosperita’ nella storia umana. Ora il paese deve unire le forze e confrontare le sfide, e assumersi ancora una volta le responsabilita’ del proprio futuro”.

Responsabilita’ che in passato “se siamo onesti con noi stessi, abbiamo lasciato perdere troppo a lungo”, ha aggiunto con una critica non solo alla passata amministrazione ma anche al comportamento piu’ generale, di chi non si e’ preoccupato della “dipendenza dal petrolio straniero”, di chi non ha saputo fermare i crescenti “costi della sanita’” e non ha cercato di risolvere il declino della scuola. E proprio questi tre temi (“i costi della salute creano una bancarotta ogni mezz’ora”) sono i punti fermi della sua piattaforma: da Medicare, la mutua per le anziani, alla Social Security, fino al Pentagono, per gli appalti che hanno fatto sprecare miliardi di dollari in Iraq.

Ha sfidato il Congresso ad approvare una legge che ponga limiti all’emissione dei gas che stanno surriscaldando il pianeta e che finanzi con 15 miliardi di dollari l’anno nuove fonti energetiche alternative. Ha detto che l’America sta finendo dietro la Cina, la Germania, il Giappone e altre nazioni nella produzione e nell’uso di energia pulita, invitando gli imprenditori Usa a far diventare gli Stati Uniti un paese leader anche in questo campo. Un piano ambizioso che necessita nuovi massicci finanziamenti (ben oltre il pacchetto di oltre 700 miliardi approvato dal Congresso), ma su questo punto il presidente americano e stato piuttosto vago, come vago e’ stato sulla sanita’ limitandosi a dichiarare: “Non voglio lasciare dubbi: la riforma sanitaria non puo’ attendere, non deve attendere e non attendera’ piu’ di un anno”.

In compenso ha promesso di tagliare del cinquanta per cento il deficit entro la fine del suo mandato, sostenendo che l’Amministrazione ha gia individuato duemila miliardi di dollari di risparmi per il prossimo decennio: da Medicare, la mutua per gli anziani, alla Social Security, al Pentagono, per gli appalti che hanno fatto sprecare miliardi di dollari in Iraq. Visto che la crisi e’ globale e planetaria si e’ poi impegnato a lavorare in accordo con le altre grandi economie mondiali: “Lavoriamo con le nazioni del G20 per restaurare fiducia nel nostro sistema finanziario, evitare la possibilita’ di una escalation del protezionismo e stimolare la domanda per merci americane nei mercati del globo”.

Un discorso di 52 minuti in cui non ha lesinato le critiche a Wall Street. La “rabbia” di chi non vorrebbe usare denaro pubblico per salvare banche e grandi industrie “e’ giusta”, ha ammesso, ricordando come la crisi sia il risultato del lassismo delle autorita’ che dovevano controllare e dell’ingordigia degli investitori. Aveva invitato tra il pubblico del Congresso Leonard Abess, direttore generale di una banca di Miami che ha rinunciato al suo bonus da 60 milioni di dollari per distribuirlo ai 399 dipendenti che hanno lavorato con lui e a 72 ex dipendenti. Una storia sconosciuta a tutti, che Obama ha voluto raccontare ottenendo un lunghissimo applauso.

Pochissimo spazio e’ stato dedicato alla politica estera. Solo un accenno per il piano che deve porre termine alla guerra in Iraq, per cambiare quella in corso in Afghanistan e per quella al terrorismo. Che deve essere dura “ma senza torture e senza equivoci”.

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