Nuovi mostri nel computer: scoperto il gaydar

Una delle cose che colpisce chi visiti anche solo uno degli istituti dello Mit, in particolare quelli che si occupano di media, e’ un tratto di mentalita’. Mettere “computing” dove c’e’ solo la vecchia tradizione analogica. Far fare a un computer, dicono loro, cio’ che un computer puo’ fare: muovere la realta’ dei dati analogici […]

Una delle cose che colpisce chi visiti anche solo uno degli istituti dello Mit, in particolare quelli che si occupano di media, e’ un tratto di mentalita’. Mettere “computing” dove c’e’ solo la vecchia tradizione analogica. Far fare a un computer, dicono loro, cio’ che un computer puo’ fare: muovere la realta’ dei dati analogici che finora hanno fatto parte della nostra realta’ “ferma”. E spesso queste scoperte “da pazzi” vengono fuori da tesi di dottorato o anche solo di una laurea di primo livello. Ora – leggiamo sul Boston Globe – c’e’ chi ha scoperto il modo di identificare e mappare le reti sociali e determinare l’appartenenza degli individui a quelle reti. Obiettivi, scopi? Ehhhh, si puo’ arrivare molto lontano.

Nella ricerca – si viene a sapere dal giornale bostoniano – si e’ lavorato a un software che studi il materiale pubblicato e le relazioni degli utenti nei social network, per comprendere quali dei membri sono gay. Il principio da cui si parte? “Le affinita’ elettive”. Come tradurreste questo?

The idea behind the MIT work, done in 2007, is as old as the adage that birds of a feather flock together. For years, sociologists have known of the “homophily principle” – the tendency for similar people to group together. People of one race tend to have spouses, confidants, and friends of the same race, for example. Jernigan and Mistree downloaded data from the Facebook network, choosing as their sample people who had joined the MIT network and were in the classes 2007-2011 or graduate students. They were interested in three things people frequently fill in on their social network profile: their gender, a category called “interested in” that they took to denote sexuality, and their friend links.

(? le persone di una razza tendono ad avere coniugi, confidenti e amici della stessa razza ? gli studiosi erano interessati alle voci cui le persone tendono a rispondere piu’ di frequente: il gender, il “sono interessato a” – una voce che denota tendenze sessuali – e la rete degli amici?.).

Ora uno puo’ – come fa il Boston Globe nel pezzo linkato – cavarsela con una battuta e dire che finalmente e’ stato inventato il “gaydar”, uno scherzo verbale della comunita’ gay, il gaydar essendo lo strumento mentale che permetterebbe ai gay di individuare altri gay a colpo sicuro, sulla base di un solo sguardo. Ma la faccenda e’ un po’ piu’ seria.

E’ come se, attraverso il software, si tendesse a “metadisegnare” la rete sociale, a disegnarla prima che essa prenda coscienza di se’, e a determinare chi appartiene a cosa.

Come ho detto all’inizio, ho un’esperienza diretta del lavoro al Mit. Chiunque ne abbia sa di questa “innocenza” che si ritrova in certi ricercatori americani, che non si pongono certe domande da incubo cui noi europei siamo piu’ portati. In questo caso pero’ non si fa molta fatica a vedere il selvaggio sfruttamento di marketing che potrebbe derivare dal predisegno delle reti sociali (il lavoro fatto sul tema gay si estende a qualsiasi argomento), e non evochiamo qui gli ovvi utilizzi di polizia in regimi piu’ o “meno” autoritari.

Questo tipo di ricerca ha anche una radice nell’organizzazione americana della ricerca. Gli studenti si percepiscono tutti come Zuckerberg potenziali, come tanti Brin e Page che dalla loro tesi caveranno fuori un altro Google, e tendono, utilizzando la totale liberta’ intellettuale che vige laggiu’, a massimizzare le potenzialita’ di business della loro idea.

In questo caso hanno costruito una mina micidiale. Ne risentiremo parlare

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