Malgrado la devastazione che il Giappone sta attraversando in questi giorni, noi italiani dalle calamità non impareremo mai – spiega il presidente dell’ADICO, Carlo Garofolini.
Il dramma giapponese non è diventato una catastrofe come quella dello tsunami del 2006 in Indonesia solo grazie alla sistematica politica di prevenzione coltivata con lungimiranza da anni. Da noi, sulle calamità naturali c’è chi fa loschi affari, e c’è chi non muove un dito neppure quando si sono da tempo prosciugati i fiumi di parole che sgorgano copiosi dopo ogni cataclisma.
Il Giappone ha subìto 29 terremoti negli ultimi dieci anni; ma nessuno ha neanche lontanamente sfiorato nel bilancio dei danni quello del 1923, quando le vittime furono 145.000. In Italia, poco o nulla è cambiato dal terremoto di Messina che causò tra i 90 e i 120.000 morti; e ci sono voluti decenni prima che sparissero le baracche. In Giappone, gli edifici vengono costruiti (e quelli già esistenti rifatti) con rigorosi criteri antisismici, sorretti da sostanziosi sgravi fiscali; e ogni anno, il primo settembre, c’è una grande esercitazione antisismica, prove di evacuazione comprese, che simula le condizioni del sisma del 1923.
E’ grazie a tutto ciò che le vittime stavolta sono state centinaia anziché decine di migliaia.
In Italia, l’unica volta che si è tentato di realizzare un’esercitazione nell’area intorno al Vesuvio (in cui si addensano 2 milioni di persone, molte delle quali in case assolutamente abusive), si è dovuto interromperla quasi subito, perché era piombato tutto nel caos.
Uno studio dell’Università di Ferrara propone un confronto tra i due Paesi nel caso di un terremoto di magnitudo 7,5 (inferiore quindi a quello di venerdì): in Calabria i morti sarebbero tra 15 e 32.000, a Tokyo 400.
Il guaio è che, quando accade una qualsiasi calamità, non solo nessuno paga per le omissioni, ma anzi c’è chi si fa pagare sottobanco per le ricostruzioni: saltando, stavolta sì, ogni trafila e calpestando ogni regola, come nello scandalo del dopo-terremoto in Irpinia. E magari addirittura ridendoci sopra, come gli infami imprenditori intercettati a L’Aquila, cui morti e distruzioni mettono allegria.
Chi mai ci salverà da questa catastrofe?
Fonte: ADICO