Vittima due volte: prima di una malattia improvvisa che le ha fatto perdere parte delle mani e dei piedi; poi della burocrazia che le ha tolto, per un cavillo, l’indennità di accompagnamento. Poche centinaia di euro che, però, avrebbero consentito a Isabel di aiutare economicamente la famiglia che, per garantirle le cure, ha speso i risparmi di una vita e ha dovuto subire anche uno sfratto. Arriva da Bari una storia che con un pizzico di elasticità e di sensibilità si sarebbe potuta risolvere senza dover finire in un’aula del Tribunale civile. E avrebbe risparmiato alla ragazza, una 21enne mauriziana giunta a Bari nel 2006 per ricongiungersi ai genitori, emigrati in Italia qualche anno prima in cerca di fortuna. Per l’Inps e la legge, Isabel – non vivendo in Italia da almeno cinque anni – è «troppo invalida» per aver diritto all’assistenza economica. Un paradosso che sta procurando solo dolore ad una famiglia perbene (il papà di Isabel è un operaio della Toyota, la mamma casalinga) che sperava di cominciare una nuova e serena vita qui.
Ma andiamo con ordine e ricostruiamo la vicenda della ragazza. Nel 2006 una terribile ed improvvisa malattia (la vasculite necrotizzante) la costringe ad un ricovero in rianimazione, dove entra in coma e ci rimane per più di un mese. Quando Isabel si risveglia la malattia ha già prodotto danni irreversibili agli arti inferiori e superiori. Inizia un altro calvario per la ragazza e per i suoi genitori: il viaggio della speranza a Milano, all’istituto di chirurgia plastica, per cercare una guarigione definitiva dalla necrosi che avanza impietosamente. Purtroppo però non c’è nulla da fare. Per salvarle la vita, i medici le amputano le falangi superiori delle mani e dei piedi. Il papà e la mamma non si arrendono e sopportano spese ingenti per farla curare al meglio. La ragazza, lentamente, si riprende, superato il peggio presenta domanda alla Asl Bari per il riconoscimento della sua invalidità. Dopo la visita, le viene riconosciuta una invalidità del 100 per cento con diritto alla indennità di accompagnamento, perché la ragazza «necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita», recita la formuletta di legge. Isabel ha diritto a 470 euro al mese, pochi soldi che però le consentirebbero di aiutare la famiglia ed evitare lo sfratto.
Ma un altro fulmine a ciel sereno irrompe nella sua vita: una comunicazione del Comune e dell’Inps blocca tutto perché «non in possesso di carta di soggiorno o permesso di soggiorno «Ce» per soggiornanti di lungo periodo». In altre parole, Isabel è in Italia da troppo poco tempo per una legge approvata dal centrosinistra: la norma stabilisce un limite di 5 anni. Non solo, al danno si aggiunge la beffa. «La Corte Costituzionale – spiega l’avvocato Saverio Macchia, il legale che sta seguendo il caso in Tribunale – nel 2010 è intervenuta per stabilire che è illegittima tale norma nella parte in cui subordina la sussistenza del requisito dei 5 anni di soggiorno alla erogazione dell’assegno mensile di assistenza, che è una prestazione assistenziale economica che viene concessa a chi, cittadino o straniero, ha una invalidità che determina una riduzione della capacità lavorativa ricompresa tra il 74 e il 99 per cento». Ma Isabel è risultata invalida al 100 per cento, quindi per lo Stato italiano è troppo invalida per avere diritto all’assistenza. «Solleveremo davanti al giudice questione di legittimità costituzionale della norma per violazione del principio di uguaglianza», dice l’avvocato.
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