‘Ndrangheta: 35 arresti in Lombardia Boss si riunivano a Niguarda e al Galeazzi …

MILANO – Si riunivano negli uffici di due funzionari amministrativi definiti «di alto livello» degli ospedali milanesi Niguarda e Galeazzi, Giuseppe Flachi, boss noto alle cronache, e Paolo Martino, altro boss diretto esponente della famiglia De Stefano di Reggio Calabria. Lo ha affermato il procuratore aggiunto Ilda Boccassini nell’ambito dell’incontro con la stampa in cui […]

MILANO – Si riunivano negli uffici di due funzionari amministrativi definiti «di alto livello» degli ospedali milanesi Niguarda e Galeazzi, Giuseppe Flachi, boss noto alle cronache, e Paolo Martino, altro boss diretto esponente della famiglia De Stefano di Reggio Calabria. Lo ha affermato il procuratore aggiunto Ilda Boccassini nell’ambito dell’incontro con la stampa in cui ha illustrato l’indagine che, all’alba di lunedì, ha portato all’arresto di 35 persone. «Si tratta – ha sottolineato il magistrato – di un fatto allarmante che è stato documentato». I due dirigenti degli ospedali non sono indagati, ma quanto è stato monitorato è per gli investigatori «inquietante». Addirittura, dicono gli inquirenti, il figlio di Flachi si premurava di bonificare la zona prima di una riunione del padre in ospedale, in una sorta di piccola azione militare. In particolare, si sottolinea «la funzione dell’ospedale Galeazzi (che si trova a Bruzzano dove i Flachi sono padroni da decenni), ridotto a luogo d’incontro riservato al servizio della ’ndrangheta», scrive il gip Giuseppe Gennari. Le indagini avrebbero individuato nel «capo ufficio ricoveri» e nel «responsabile ufficio infermieri i due contatti del gruppo all’interno dell’ospedale». I due mettevano i loro uffici a disposizione di Giuseppe Flachi per i suoi incontri con altri indagati e del figlio Davide per i suoi «incontri "sentimentali"» con una donna. Secondo Gennari, «la presenza di uomini di fiducia della mafia calabrese all’interno delle strutture sanitarie lombarde era emersa in modo netto nella indagine Valle in relazione al ricovero fittizio di don Ciccio Valle e – in modo più esteso – con l’arresto di Chiriaco, vertice dell’Asl di Pavia».

IL BLITZ – Il blitz di lunedì mattina del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, dei Carabinieri del Ros, in collaborazione con la Polizia locale, ha portato all’arresto di 35 presunti affiliati alla ‘ndrangheta e al sequestro di beni per 2 milioni di euro. Gli arrestati sono indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, minacce, smaltimento illecito di rifiuti e spaccio di sostanze stupefacenti. L’operazione è coordinata, oltre che dalla Boccassini, dai pm Alessandra Dolci, Paolo Storari e Galileo Proietto.

ALLARME – L’operazione giunge a quattro giorni di distanza dall’allarme lanciato nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia per la «penetrazione con il modello della colonizzazione» delle cosche calabresi di ‘ndrangheta in Lombardia.

LE ATTIVITÀ –Delle 35 ordinanze di custodia in carcere richieste dalla Dda di Milano e disposte dal gip Giuseppe Gennari, ben 14 contestano l’associazione per delinquere di stampo mafioso e sono indirizzate a personaggi di primo piano della ‘ndrangheta «milanese». Oltre al boss Giuseppe «Pepé» Flachi, suo figlio Davide ed Emanuele Flachi (ritenuti legati ai Pesce di Reggio Calabria, e da decenni imperanti dalla Comasina a Quarto Oggiaro, dalla Bovisa ad Affori fino a Bruzzano), per il 416 bis sono scattate le manette anche ai polsi di Paolo Martino, considerato «diretta espressione» della famiglia reggina dei De Stefano, e di Giuseppe Romeo e Francesco Gligora considerati punti di riferimento delle cosche di Africo in Lombardia. Nel quadro che emerge dall’operazione, denominata «Redux – Caposaldo» non c’è solo la «classica» e diffusissima infiltrazione nel settore del movimento terra nei cantieri edili di Milano, ma anche la gestione della «security» in molti, notissimi, locali notturni, l’estorsione agli esercizi pubblici che sorgono nelle stazioni della metropolitana, l’attività di «pizzo» ai chioschi dei «porchettari», il controllo dei posteggi fuori dalle discoteche più celebri, gestione di cooperative appaltatrici dei servizi di trasporto in Tnt (ex Traco) e persino una «tassa» imposta a chi intendeva spacciare in alcune piazze della città. La cosca che aveva una grande «capacità di penetrazione economica» nel tessuto lombardo è riuscita anche ad acquisire «attraverso intermediari fittizi» la discoteca «De Sade» di via Valtellina.

LEGAMI CON LELE MORA – Dall’ordinanza del gip emerge anche che Martino avrebbe avuto contatti con l’imprenditore dei vip Lele Mora: nel provvedimento ci sono anche alcune telefonate tra l’avvocato Luca Giuliante, legale di Mora – e primo legale che affiancò Ruby-Karima el Mahroug – ma in relazione ad un gara d’appalto nel settore edilizio in cui è coinvolta la famiglia Mucciola. Mora e Giuliante non sarebbero indagati. Emergono anche i rapporti tra il boss e una serie di personaggi del settore dello spettacolo dei locali notturni, tra cui l’ex «tronista» Costantino Vitagliano e Luca Casadei, titolare della discoteca Hollywood. Attraverso contatti nel mondo dello spettacolo, Martino si occupava anche di promuovere la rivista «Macao», organizzando anche interviste con noti giocatori di poker, tra i quali il campione Bonavena Salvatore».

IL PIZZO AI «PANINARI» – «Il lungo elenco di estorsioni relative ai "paninari" e soprattutto il contesto in cui esse si inseriscono documentano un totale dominio del territorio da parte del gruppo mafioso». È uno dei passaggi dell’ordinanza del gip Giuseppe Gennari. Nella parte dedicata al «pizzo» imposto agli ambulanti che vendono panini a bordo dei furgoni che stazionano nei luoghi più frequentati della città, «un settore tipico di intervento dell’ndrangheta» (tra l’altro già portato alla luce l’anno scorso dai magistrati reggini nei confronti del clan Pesce), il gip sottolinea che «giammai il dominio dei clan è posto in discussione da chi subisce le regole» e che «le regole le scrivono i calabresi e non si discutono». Da quanto emerge dalle indagini, le estorsioni che riguardano anche la scelta del luogo di parcheggio e il modo stesso di esercitare l’attività commerciale, viene contestata principalmente ai Flachi. L’ambulante che non paga quanto «dovuto per la protezione» si ritrova con il mezzo bruciato e nel 2010 tra Milano e provincia sono stati diversi i furgoni distrutti dal fuoco e «come sempre tutto accade nel più assoluto silenzio, nessuno denuncia nulla, nessuno sospetta nulla».

«SOFFIATE» DALLA SORELLA SUORA – A fornire informazioni sulle indagini al boss della ‘ndrangheta Paolo Martino è una suora, la sorella Rosa Alba Maria Martino appartenente all’ordine Paolino e vicedirettrice sanitaria dell’ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale (Roma): «la donna sfruttava le proprie conoscenze per acquisire informazioni riguardanti eventuali procedimenti penali in corso nei confronti del fratello», scrivono i gip, spiegando che in una conversazione emerge che la suora avvisa il fratello che un collaboratore di giustizia sta rendendo dichiarazioni nei suoi confronti.

COCKTAIL ELETTORALI – L’inchiesta della Dda ha anche messo ancora una volta in luce i contatti con la ‘ndrangheta lombarda «con il mondo politico» locale. Lo ha spiegato il procuratore Boccassini: alle ultime elezioni regionali i Flachi avevano deciso di sostenere Antonella Maiolo (Pdl), che non risulta indagata. Agli atti dell’inchiesta ci sono due incontri riservati della candidata con Francesco Piccolo e Davide Flachi. Dall’inchiesta emergono anche tentativi di appoggiare personaggi politici minori, come Renato Coppola, già sindacalista, dirigente delle Poste Italia di piazza Cordusio, e candidato in Forza Italia nel 2006. Inoltre, risulta che il boss Davide Flachi, figlio di Giuseppe, partecipava a cocktail elettorali organizzati da Massimiliano Bonocore (Pdl) – figlio di Luciano Bonocore, storico esponente della destra milanese, cofondatore del Pdl – in occasione delle elezioni amministrative.

 

 

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