Lavoro: chi non “stacca” mai è meno efficiente

Niente telefonate di lavoro quando siete a casa, niente controlli dell’e-mail aziendale prima di andare a letto, niente rimuginazioni notturne su affari in sospeso. Lasciate sulla scrivania dell’ufficio i pensieri che riguardano il lavoro e quando arrivate a casa fate in modo di avere altro a cui pensare. Pare che sia il modo migliore non […]

Niente telefonate di lavoro quando siete a casa, niente controlli dell’e-mail aziendale prima di andare a letto, niente rimuginazioni notturne su affari in sospeso. Lasciate sulla scrivania dell’ufficio i pensieri che riguardano il lavoro e quando arrivate a casa fate in modo di avere altro a cui pensare. Pare che sia il modo migliore non solo per conservare il proprio benessere psicofisico, ma anche per risultare più efficienti in azienda. Chi invece si porta tra le mura domestiche le preoccupazioni del lavoro senza riuscire mai a staccare veramente, finisce per stressarsi e prima o poi ci vanno di mezzo sia il benessere sia la produttività. Quindi, brutte notizie per gli assetati di lavoro, i cosiddetti workaholics, quelli che non vorrebbero mai lasciare l’ufficio o comunque non vorrebbero mai pensare ad altro.

RELAZIONE CURVILINEA – Due ricerche pubblicate sul Journal of Applied Psychology indicano chiaramente che conviene imparare a prendere le distanze dall’adrenalina del lavoro frenetico. La prima ricerca è stata realizzata da Charlotte Fritz del Department of Psychology della Portland State University e da alcune sue collaboratrici, per mezzo di questionari che sono stati somministrati non solo ai lavoratori (in questo caso impiegati amministrativi di 45 anni di età media, di sette diverse università americane), ma anche ai loro partner e ai loro colleghi, al fine di valutare, oltre alla capacità di "staccare" dal lavoro, anche il livello di benessere individuale, la qualità della vita e la produttività sul lavoro. «Abbiamo trovato che esiste una relazione lineare tra la capacità di staccare dal lavoro e gli indicatori di benessere quali la spossatezza emotiva e la soddisfazione circa la propria vita – dicono le autrici di questa ricerca -. Abbiamo anche identificato l’esistenza di una relazione curvilinea tra la capacità di staccare dal lavoro e le performance professionali». In pratica, la relazione curvilinea vuol dire che livelli medi di coinvolgimento emotivo con il lavoro sono quelli che garantiscono le migliori prestazioni, mentre quando questo coinvolgimento è troppo basso o troppo alto, le prestazioni tendono a peggiorare.

SINTOMI PSICOSOMATICI – La seconda ricerca è stata realizzata da Sabine Sonnentag, psicologa dell’Università di Konstanz, in Germania, e da alcune sue collaboratrici (evidentemente è un settore di ricerca al quale si dedicano in particolare le donne). In questo caso i soggetti erano psicologi, assistenti sociali e amministrativi di alcune organizzazioni non profit tedesche, che sono stati studiati in maniera prospettica per un anno, al fine di poter rilevare gli effetti a lunga distanza della capacità di staccare o meno dai pensieri e dalle preoccupazioni del lavoro. Alla fine della ricerca è emerso che chi pensa al lavoro anche fuori dall’ufficio va più frequentemente incontro a sintomi psicosomatici e a una spossatezza emotiva che sulla lunga distanza può diventare causa di un vero e proprio burnout, una sorta di esaurimento definitivo della propria capacità lavorativa.

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