Comincia una quarantina di chilometri dal quartier generale italiano il percorso a ostacoli per gli studenti afgani che dalle regioni meridionali cercano di raggiungere l’universita’. Agli occhi dei talebani studiare e’ una colpa, una forma di collaborazionismo con gli “eserciti invasori di infedeli”. Peggio ancora se a farlo sono le ragazze. Ci danno la caccia sulle strade. Cominciano dai nostri villaggi. E ci braccano in moto, sostengono nel campus. Dal centro di Herat percorrono la decina di chilometri per l’aeroporto e la base italiana pattugliati da esercito e polizia locali. Superano il posto di blocco davanti alle ultime costruzioni della zona industriale e, dopo tre chilometri che sono gia’ desertici, passano quello di “Camp Stone”, dove piccole unita’ scelte americane si occupano dell’addestramento di quelle afgane.
VIAGGI PERICOLOSI – I pericoli iniziano ben prima della grande base americana di Shindand. Le milizie armate stanno appostate sulle colline, quando notano un’auto che considerano sospetta calano dall’alto, via radio coordinano posti di blocco volanti, quindi rapinano, rapiscono, minacciano. E noi non possiamo fare nulla, assolutamente nulla, racconta Samira Sahel, 19enne iscritta alla facolta’ di Economia. Originaria di Farah, circa 300 chilometri a sud di Herat, l’abbiamo intervistata anche per capire un po’ meglio la situazione nelle regioni dove sabato scorso e’ stato attaccato il convoglio italiano. Noi ragazze, come del resto anche tanti ragazzi, nascondiamo le nostre identita’. In genere si preferisce lasciare qui a Herat il tesserino universitario, i libri e qualsiasi prova dei nostri studi. Io torno a casa solo ogni quattro mesi. Troppo pericolosi i viaggi ripetuti. Ma se da Farah ancora ancora ci si muove, la cosa e’ impossibile nella vallata del Ghoulistan, dove sono stati colpiti gli italiani. Da laggiu’ le ragazze non viaggiano proprio. E sarebbero in tante che verrebbero volentieri all’universita’!.
SPIE TALEBANE – Frouzan Frough, figlia di una potente famiglia di Herat, a 25 anni e’ gia’ decente di tedesco alla facolta’ di lingue. Ha trascorso lunghi periodi di studio a Berlino. Indossa il velo con evidente fastidio. Certo qui siamo un po’ piu’ provinciali che nella capitale tedesca, ironizza. Ma le sue opinioni sono coltellate. Grazie Italia che mandi i tuoi soldati a difendere i nostri diritti. Guai se andaste via. Qui sarebbe la catastrofe. Pero’, per favore, state di piu’ sulle strade, rispondete per le rime contro i talebani. Vi sparano contro e voi attaccateli. Non c’e’ alternativa. Alla guerra occorre reagire con la guerra. Una sua studentessa si avvicina guardinga. Quando sente il tenore dei discorsi si fa forza e racconta la storia del suo amico Hassan, 21 anni, conosciuto l’anno scorso alle lezioni di inglese. Era originario di Helmand, dove spadroneggiano le milizie. Pur di studiare aveva deciso che non sarebbe tornato piu’ a casa sino alla laurea. Ma i talebani sono venuti a saperlo. Hanno spie anche all’universita’. Allora hanno rapito suo padre, facendogli sapere che l’avrebbero decapitato se lui non fosse tornato. Hassan allora ha preso il coraggio a due mani ed e’ andato da loro. Sperava di poter spiegare e trovare un arrangiamento. Mi hanno detto che, dopo pochi giorni, il padre e’ stato liberato. Ma di lui non so piu’ nulla.
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