Vale la pena correre il rischio di giocarsi il mare per sfruttare un potenziale di petrolio che vale al massimo 11 milioni di tonnellate, l’equivalente del consumo di 55 giorni di fabbisogno nazionale? Meglio dedicare 12 chilometri quadrati ai 6 impianti eolici offshore progettati o concedere 30 mila chilometri quadrati di aree marine alla ricerca di idrocarburi? Sono le domande che emergono da un rapporto appena preparato da Legambiente: "Un mare di trivelle". Al 31 maggio 2011 in Italia erano stati rilasciati 117 permessi di ricerca di idrocarburi sul territorio italiano: 92 in terraferma e 25 in mare. Una bella quantità di trivelle pronte a circondare le nostre coste aggiungendosi alle 9 piattaforme attuali con i loro 82 pozzi.
"E’ una forsennata ricerca di petrolio nostrano che vede in prima fila soprattutto le compagnie straniere che hanno trovato nell’Italia il nuovo Eldorado viste le condizioni molto vantaggiose che vengono concesse per cercare e estrarre idrocarburi nel nostro paese, secondo l’ammissione delle stesse società interessate", si legge nell’analisi di Legambiente. "Una lottizzazione senza scrupoli che non risparmia neppure le aree marine protette: lo scorso aprile il ministero dell’Ambiente, d’intesa con quello dei Beni culturali, ha approvato la Valutazione d’impatto ambientale per un programma di indagini della Petrolcetic Italia srl vicino alle Tremiti".
Il decreto del ministero dell’Ambiente è stato impugnato da Legambiente al Tar del Lazio.
Anche la Regione Puglia si è schierata ufficialmente contro le trivelle in mare: il 19 luglio scorso il Consiglio regionale ha approvato una proposta di legge sul divieto di prospezione, ricerca e coltivazione d’idrocarburi liquidi. La proposta tende a mettere in salvo non solo le Tremiti ma tutto l’Adriatico "dall’attività estrattiva ritenendo prevalenti la questione ambientale e l’attività turistica".
Da una parte le associazioni ambientaliste e la Puglia, dall’altra il governo che il 7 luglio ha approvato un curioso decreto legislativo. In una norma di attuazione della direttiva sulla tutela penale dell’ambiente è stato inserito un codicillo che riduce la tutela perché riduce i vincoli per le attività di ricerca, prospezione ed estrazione di idrocarburi in mare nel golfo di Taranto: prima il divieto riguardava l’area fino 12 miglia dal limite delle acque territoriali italiane, ora resta protetta solo l’area entro le 5 miglia dalla costa. Di fatto il via libera alle trivelle.
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