La paura di insegnare dei nuovi professori

Hanno appena firmato un contratto di assunzione a tempo indeterminato, il che ? soprattutto di questi tempi ? dovrebbe aiutare a mettere da parte una buona dose di pensieri e preoccupazioni. Hanno detto definitivamente addio agli anni di precariato, all’ansia da graduatorie, ai contratti che scadono con il suono dell’ultima campanella. Eppure, gli insegnanti italiani […]

Hanno appena firmato un contratto di assunzione a tempo indeterminato, il che ? soprattutto di questi tempi ? dovrebbe aiutare a mettere da parte una buona dose di pensieri e preoccupazioni. Hanno detto definitivamente addio agli anni di precariato, all’ansia da graduatorie, ai contratti che scadono con il suono dell’ultima campanella.

Eppure, gli insegnanti italiani non sono tranquilli. Li mette in ansia la difficolta’ nel gestire classi dove e’ in aumento la presenza di bimbi e ragazzi stranieri, sfida affascinante ma complicata da gestire senza un’adeguata preparazione. Li destabilizza la comunicazione sempre piu’ zoppicante con le famiglie, e non va granche’ meglio nel match con le nuove tecnologie: alle scuole superiori, addirittura il 49% riconosce di avere un rapporto non facile con computer e Web.

E piu’ di 2 su 5, tra le new entries che ce l’hanno (finalmente) fatta, non possiedono un titolo di laurea.

Ritratto di insegnanti in un interno, quello della scuola italiana ai tempi delle riforme che si accavallano e dei fondi che non bastano mai. Ritratto accurato, perche’ le pennellate sono davvero molte, e fittissime: 15.071, per la precisione, pari al numero dei maestri e prof che hanno (volontariamente) risposto al questionario di 223 domande diffuso dalla Fondazione Agnelli in otto regioni italiane. Piemonte, Emilia-Romagna, Puglia (che avevano gia’ preso parte a una prima indagine, nel 2008); e ancora, Lombardia, Veneto, Liguria, Marche e Campania. Otto gli Uffici scolastici regionali coinvolti. Complessivamente, 16.000 insegnanti neoassunti nell’anno scolastico 2008-2009 (il 64% del totale italiano). E quasi tutti, appunto, hanno voluto contribuire con il proprio personalissimo tocco di pennello.

Le indagini precedenti, per dare l’idea, si aggiravano di norma intorno alle cinquemila interviste. Aver superato i 15 mila questionari compilati ? ammette con un certo orgoglio Stefano Molina, dirigente di ricerca della Fondazione e tra i coordinatori del lavoro ? significa di gran lunga ottenere la piu’ ampia analisi sugli insegnanti mai realizzata in Italia. Non solo: In questi anni di vacche magre, di assunzioni a tempo indeterminato se ne sentono poche. Qui, invece, parliamo di 50 mila ingressi in ruolo nel 2008, 25 mila nel 2009: stiamo parlando del piu’ grande fenomeno italiano di immissione a tempo indeterminato nel mondo del lavoro. E il paradosso e’ che finora non si sapeva bene chi fossero, queste persone: il meccanismo di reclutamento e’ un po’ opaco, lo stesso ministero ne conosce la classe di abilitazione, non i titoli di studio….

I titoli di studio, ecco. Quella laurea che manca, ancora, al 40,7% degli intervistati. I picchi sono, ovviamente, nei primi ordini di scuola: nessun pezzo di carta per il 75,6% dei nuovi maestri d’asilo e per il 66,9% degli insegnanti delle primarie. Il motivo? Presto detto: Si sta raschiando il fondo del barile delle graduatorie ? e’ la sintesi efficace di Molina ?. I neoassunti arrivano, per la meta’, dalle graduatorie di concorso: ma l’ultimo e’ del 1999, e queste sono persone che si trovavano in una posizione cosi’ bassa da vedersi passare davanti, negli anni, moltissimi altri colleghi. L’altra meta’, invece, viene dalle graduatorie ad esaurimento, in questo momento chiuse: supplenti che hanno avuto l’abilitazione in stagioni diverse, con regolamenti diversi. Insegnanti del futuro, ma gia’ da rottamare? Certo che no, anzi: Stiamo parlando di professionisti che in media hanno superato i 40 anni di eta’, di cui quasi 11 di precariato. E se i titoli non sono sempre brillantissimi, hanno una buona esperienza e un’anzianita’ di servizio che sopperiscono in parte alla formazione iniziale inadeguata .

Perche’ poi, in questo quadro a forti chiaroscuri che ritrae l’ultimo battaglione schierato nelle aule italiane, spiccano dei dati incontestabilmente positivi. Nel corso degli anni ? conferma Laura Gianferrari, dirigente dell’Ufficio scolastico regionale per l’Emilia-Romagna e coordinatrice insieme a Molina ? abbiamo avuto la sorpresa di trovare sempre piu’ la rappresentazione di un lavoro che ha un’attrattivita’ forte, che da’ soddisfazione agli insegnanti. Nonostante alcuni aspetti ben noti: la retribuzione bassa, il riconoscimento sociale che non viene avvertito, gli anni di precariato .

E in effetti, se l’80% dei neoassunti ribadisce di aver fatto una scelta per passione, ben il 95% ? un dato in crescita rispetto al 2008 ? rifarebbe la stessa scelta. I motivi di soddisfazione: il lavoro con i ragazzi (93%), l’interesse per la disciplina (89%), la consapevolezza della propria utilita’ sociale (84%). Il livello retributivo, per contro, e’ ritenuto soddisfacente solo nell’11,7% dei casi, mentre il riconoscimento sociale si ferma al 31,1% ? con picchi positivi al Sud: oltre il 40% in Campania, poco sotto in Puglia.

Il problema vero, pero’, e’ un altro.

Le nuove tecnologie

Nelle superiori il 49% dei docenti appena assunti ammette di non conoscere a sufficienza computer e Web Il giudizio Per la prima volta chi sta in cattedra si sente fortemente inadeguato, soprattutto nel rapporto con gli allievi

E va sotto il nome di difficolta’ nell’insegnare . Una sensazione in aumento e fortemente trasversale, commenta l’economista Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli. L’impressione e’ che forse per la prima volta gli insegnanti italiani inizino a sentirsi fortemente inadeguati, soprattutto nel rapporto con gli allievi: c’e’ la percezione di un divario generazionale, tecnologico, di vita e di apprendimento, e loro non sentono di avere tutti gli strumenti per affrontarlo. Soprattutto, dati (nuovamente) alla mano, nelle scuole superiori: il 63% degli intervistati confessa problemi nel gestire la multiculturalita’ in classe, il 55% non sa interagire come vorrebbe con i genitori. Persino lavorare in e’quipe, per il 48% dei neodocenti, e’ complesso.

Il punto ? prosegue Gavosto ? e’ che il meccanismo di formazione produce una tipologia di insegnante sempre uguale a se stessa, che pero’ inizia a rendersi conto di non essere piu’ quello che serve ai ragazzi di oggi . E in questo senso, la programmazione diventa fondamentale: Piu’ che annunciare tante riforme, l’obiettivo per il Paese dovrebbe essere investire in una scuola di qualita’. Sulla formazione iniziale, ad esempio: la bozza di regolamento del ministero punta molto su una preparazione di tipo disciplinare, mentre quella pedagogica e’ ritenuta sovradimensionata. Bene, gli insegnanti ci stanno dicendo esattamente l’opposto. Sarebbe il caso di prenderne atto.

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