All’inizio del movimento degli indignados
uno degli slogan era: “L’Islanda è
la soluzione!”. Ora, con l’aggravarsi
della crisi e l’aumento dei tagli sociali
in Europa, l’Islanda ha un tasso di
crescita del 2,3 per cento, il suo sistema
finanziario è tornato stabile dopo il collasso del
2008, la disoccupazione è diminuita e il sistema politico
gode di nuova legittimità grazie a una riforma costituzionale
fatta con la partecipazione dei cittadini. Tutto
è nato da un movimento di indignazione
popolare lanciato l’11 ottobre del
2008 dal cantante Hörður Torfason e poi
amplificato da internet.
L’Islanda era diventata il paradigma
di una crescita basata sulla speculazione
finanziaria. Nel 2007 era il quinto paese
del mondo per reddito pro capite, una
ricchezza generata dall’espansione di un
settore finanziario dominato da tre grandi
banche, che avevano alimentato con
un credito facile l’aumento della domanda
interna e avevano gonfiato il loro capitale
usando le azioni di una banca per comprare
quelle delle altre e aumentarne il valore. Nel 2007 il
patrimonio bancario equivaleva all’800 per cento del
pil. Per nascondere i loro maneggi le banche avevano
creato delle aziende in paradisi fiscali, e da lì usavano i
loro capitali gonfiati come garanzia per chiedere altri
prestiti internazionali. Non sono riuscite a farla franca,
e nel 2006 l’agenzia di rating Fitch ha declassato
l’Islanda, provocando una minicrisi. Le banche hanno
scelto la fuga in avanti: hanno creato dei conti online
ad alto rendimento (Icesave) e li hanno pubblicizzati in
Inghilterra e nei Paesi Bassi. Era un classico schema
piramidale: quello che incassavano dagli uni serviva a
pagare gli altri. Si scambiavano titoli di debito tra loro,
usandoli come garanzia per ottenere prestiti. Nell’aprile
del 2008 il Fondo monetario internazionale ha detto
al governo islandese di controllare le sue banche. La
risposta è stata chiedere nuovi prestiti internazionali.
A settembre la Banca centrale ha comprato il 75 per
cento delle azioni della banca Glitnir. A quel punto è
crollata la fiducia nel sistema finanziario: nell’ottobre
del 2008 il valore delle azioni e degli immobili è precipitato,
e in molti sono rimasti senza risparmi e senza
lavoro. Le banche sono fallite.
Sembrava un vicolo cieco. Ma a quel punto sono
intervenuti i cittadini. In migliaia si sono uniti a Torfason
occupando la piazza Austurvöllur di Reykjavik nel
gennaio del 2009. La protesta è proseguita per giorni,
portando allo scioglimento del parlamento e a nuove
elezioni. Il partito al governo è crollato e un’alleanza di
socialisti e rosso-verdi guidata da Jóhanna Sigurðardóttir
è arrivata al potere. Le tre banche principali sono
state nazionalizzate e ristrutturate. I risparmi dei cittadini
sono stati protetti dal governo. Ma la decisione su
cosa fare con i debiti contratti con gli investimenti speculativi
degli stranieri è stata sottoposta a referendum.
Il 93 per cento degli islandesi ha votato no alla restituzione
di 5,9 miliardi di dollari a investitori inglesi e
olandesi. I soliti economisti avevano previsto una catastrofe.
Non è successo nulla di tutto
questo. La svalutazione della corona
islandese del 40 per cento (una manovra
che la Grecia non può fare) ha stimolato
le esportazioni di pesca e alluminio, ha
reso più economico il turismo e ha limitato
le importazioni. La disoccupazione
è scesa al 6,7 per cento. Il governo ha
adottato misure di austerità ma la spesa
sociale non è diminuita, perché non si
sono dilapidati soldi per ricapitalizzare
le banche. Tutta l’economia si è ridimensionata
tornando alle sue proporzioni
reali e le persone hanno un lavoro e dei risparmi sicuri,
pagano meno per la casa e non si indebitano perché
nessuno gli presta dei soldi.
La nuova costituzione è stata scritta con la partecipazione
dei cittadini. Nel novembre del 2010 è stato
creato un comitato di 25 cittadini che supervisionerà il
processo costituzionale. Le riunioni del comitato sono
state trasmesse in streaming su Facebook. Nel 2011,
usando i social network, migliaia di persone hanno
presentato le loro proposte. Sono stati estratti a sorte
950 cittadini per discutere gli aspetti principali della
costituzione e informare in tempo reale della discussione
su Twitter. A luglio è stata approvata una bozza,
che sarà sottoposta a referendum.
Molti non credono che la soluzione islandese sia
applicabile ad altri contesti. Meno che mai la possibilità
di non pagare il debito estero, a causa della reazione
punitiva che potrebbero avere i mercati finanziari. Eppure
tutti sanno che il debito greco è insolvibile. Il salvataggio
greco consiste nel decidere come spartire
quel debito tra i cittadini greci (perdendo stipendi e
pensioni), i cittadini europei (che finanziano la Bce e il
fondo di stabilità dell’Unione) e le banche creditrici. È
un default, in Grecia come in Islanda. In un caso avviene
tutto sotto il controllo dei cittadini, nell’altro è tutto
nelle mani di governi e banche, che se la vedranno tra
loro per decidere chi paga cosa. Quello che nessuno
dice è che alla fine la soluzione greca è uguale alla
soluzione islandese, ma senza trasparenza.
Fonte: Internazionale