Per adesso non hanno deleghe, ruoli o “missioni” – come si dice nel gergo di Palazzo Chigi – da portare a termine. Però già ora possiamo calcolare quanto costino alle casse dello Stato i nove sottosegretari nominati giovedì nella compagine di governo: circa 350mila euro l’anno ognuno, oltre 3 milioni di euro sommando i costi di tutti e nove. Da questa cifra sono esclusi gli emolumenti che i nove già ricevono essendo stati eletti a suo tempo nelle assemblee di Montecitorio e Palazzo Madama.
I sette deputati e due senatori, arrivati giovedì a ricoprire ruoli di governo nell’ambito dei ministero dello Sviluppo Economico, all’Agricoltura, ai Beni Culturali, alle Infrastrutture, al Welfare e all’Ambiente non diventeranno ricchi per questo. Ai 14-15mila euro che già ricevono mensilmente per il loro lavoro in Parlamento, aggiungeranno infatti “solo” i 3112 euro lordi per 13 mensilità (40.456 euro l’anno) che vengono riconosciuti al sottosegretario che ricopre il ruolo unitamente a quello del deputato o del senatore. È infatti questo il caso in cui ricadono tutti e nove i neo-sottosegretari.
I costi maggiori sono infatti quelli relativi alla “struttura” che dovrà essere formata per mettere in condizione il sottosegretario di poter lavorare. Seppure debba essere in armonia con il ministero in cui viene incardinata (e quindi, in linea del tutto teorica, obbedire a criteri di efficienza e minor costo), il sottosegretariato deve poter disporre di un “capo di gabinetto” e di un’auto blu. Pare strano a enumerarli assieme, ma sono questi infatti i due “strumenti” necessari perchè il sottosegretario inizi a operare.
Per quanto riguarda il “capo di gabinetto”, anche qui, in linea del tutto teorica, si dovrebbe poter nominare alla carica un funzionario di fascia alta che lavori già nella pubblica amministrazione. Ma, di norma, ogni sottosegretario porta con sè un uomo di propria fiducia, un esterno che andrà a costare alle casse dello Stato tra i 150 e i 170mila euro l’anno.
Per intenderci, solo per pagare gli stipendi agli estranei alla pubblica amministrazione che lavorano nelle segreterie dei “sottosegretari della Presidenza del Consiglio”, l’anno scorso sono stati spesi 1.036.479 euro. Queste stesse figure di “esterni”, assunte nei ministeri senza portafoglio e nei sottosegretariati con delega dei ministri ammontava a quasi sei milioni di euro (5.945.251). Insomma, l’andazzo è questo e sarebbe una sorpresa che fosse smentito.
Il sottosegretario potrebbe aver bisogno anche di un paio di figure amministrative (che verrebbero trasferite da altri uffici del medesimo ministero, acquisendo, semmai, specifiche qualifiche) e di un ufficio stampa, ma non può rinunciare all’auto blu e ai due autisti che devono condurla. Quindi altri due stipendi per l’intera durata dell’esecutivo e il leasing per l’autovettura (si prediligono auto di alta gamma per non far sfigurare il sottosegretario rispetto al proprio ministro).
Tutto sommato, con le economie di scala possibili, un sottosegretariato arriva a costare circa 350mila euro l’anno. Cifra che, sommata a indennità, diaria, cura del collegio e benefit vari di deputati e senatori, ne fa uomini e donne da mezzo milione di euro l’anno.
Non è poco se si pensa che, a volte una volta nominati sottosegretari non si ottiene nessuna delega, vale a dire nessun argomento da seguire all’interno del ministero. Chi ha memoria ricorda come il sottosegretario Giuseppe Pizza, l’uomo che deteneva il simbolo della Dc e che quindi fu prezioso per l’elezione di Silvio Berlusconi, fu lasciato senza delega dal ministro Gelmini per mesi e mesi. In un divertente pezzo sul Corriere della Sera, Gian Antonio Stella ce lo racconta come il personaggio di un’Italia bizzarra: “Pino fa parte dell’organico. Va a presenziare all’ambasciata di Parigi al premio «Giuseppe Colombo». Interviene al convegno «Eurospazio: strategie per il futuro». Rappresenta il governo al simposio su «L’Italia al Polo Nord – Una nuova prospettiva di ricerca in Artico». Invia messaggi di scuse per l’assenza alla «S. Messa in suffragio del compianto amico prof. Diomede Ivone, di cui serbiamo preziose testimonianze dei suoi studi sul cattolicesimo politico e sindacale». Cose così… «E da noi non ci viene nessuno?». «Se volete, Pizza»”.
Ora ci assicurano che entro quindici giorni, come da legge, i nove uomini d’oro chiamati a puntellare il governo di Silvio Berlusconi avranno ricevuto il proprio compito e potranno essere messi in grado di operare. Piacendo ai ministri che li hanno in carica, ovviamente.
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