Italia senza borghesia

      di Piero Ostellino Berlusconismo e antiberlusconismo sono le due facce della stessa medaglia: la scomparsa della cultura borghese. La nostra non- è mai stata per ragioni culturali, storiche e sociali ,qualcosa che assomigliasse alla borghesia inglese, già adombrata nella Magna Charta (1215), artefice della Rivoluzione industriale, celebrata da Marx come motore del […]

 

 

 

di Piero Ostellino

Berlusconismo e antiberlusconismo sono le due facce della stessa medaglia: la scomparsa della cultura borghese. La nostra non- è mai stata per ragioni culturali, storiche e sociali ,qualcosa che assomigliasse alla borghesia inglese, già adombrata nella Magna Charta (1215), artefice della Rivoluzione industriale, celebrata da Marx come motore del capitalismo, e della (futura) globalizzazione nel Manifesto del Partito comunista, promotrice dello Stato sociale ma anche capace di smantellarne le incrostazioni.

Non è più la borghesia risorgimentale, che aveva coniugato il principio di libertà dello Statuto albertino con quello di nazionalità europeo; né della Destra storica, erede del cavouriano juste milieu, e neppure quella della sinistra democratizzante e nazionalista (dopo il 1876). Non è la borghesia realista e pragmatica giolittíana, che aveva portato a compimento lo Stato centrale; né quella, del 1915, divisa fra interventisti e anti-interventisti ma accomunati dall`ideale del completamento della missione risorgimentale (con prudenza diplomatica, gli anti-interventisti; con la guerra, gli interventisti).

Nel 1922, c`è stata una frattura. La borghesia liberale – spaventata dai tifosi nazionali della Rivoluzione bolscevica, che avevano letto tanto Sorel e poco Marx – si era chiesta che cosa stesse accadendo, e che fare, senza riuscire a darsi una risposta.

Era rimasta immobile in attesa che qualcuno se la desse e facesse qualcosa.

Lo aveva fatto Benito Mussolini. La risposta era il fascismo.

L`antica borghesia, imprenditrice, attenta al sociale ma non collettivista nella sua componente liberale e cattolico-liberale, era ricomparsa, nel 1948, con Luigi Einaudi e Alcide De Gasperi; il suffragio universale aveva portato «dentro lo Stato» tutti gli italiani; il boom economico e del lavoro li aveva trasformati in cittadini consapevoli dei propri diritti. Ma la borghesia «democratica», che le era succeduta, aveva, via-via, trasformato quella conquista della democrazia liberale nella «occupazione dello Stato» da parte dei partiti; i rappresentanti avevano provocato una regressione neo-totalitaria. Gli eventi successivi da Mani pulite all`attuale scollamento fra sistema politico maggioritario (governa chi vince le elezioni e si torna a votare se perde la maggioranza in Parlamento) e sistema costituzionale parlamentare (le maggioranze di governo si estinguono e si ricostituiscono in Parlamento) – hanno accentuato l`antica frattura.

L`Italia è quella del `22, ma senza possedere la ricchezza culturale di allora (il confronto fra Turati e Gramsci;

quello fra storicismo crociano e attualismo gentiliano), né avere il vitalismo politico, ancorché negativo, del fascismo. Che nella storia agisca una «potente razionalità», generatrice di progresso, è falso.

Noi ne siamo la prova. Ciò che la nostra borghesia della fine del XX secolo e degli inizi del XXI ha saputo esprimere è il berlusconismo e l`antiberlusconismo.

Poco davvero, per chiamarlo progresso.

 

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