Intervista con Amartya Sen: La mia sfida verde

Amartya Sen sta con Barack Obama. Soprattutto, dice in questo colloquio con ‘L’espresso’, sposa l’idea del presidente degli Stati Uniti di avviare una rivoluzione verde attraverso la quale rigenerare l’economia. Un modo diverso e nuovo, a suo avviso, per cercare di uscire da una crisi economica profonda di cui analizza le cause remote. Una, forte, […]

Amartya Sen sta con Barack Obama. Soprattutto, dice in questo colloquio con ‘L’espresso’, sposa l’idea del presidente degli Stati Uniti di avviare una rivoluzione verde attraverso la quale rigenerare l’economia. Un modo diverso e nuovo, a suo avviso, per cercare di uscire da una crisi economica profonda di cui analizza le cause remote. Una, forte, la individua nella mancanza di equilibrio tra le ragioni del mercato e quelle che definisce le “istituzioni non di mercato”, welfare, impegno sociale contro la poverta’. Ecco, la poverta’. stata, a lungo, il terreno di studio del professore indiano premio Nobel per l’economia nel 1998. Non se ne dimentica nemmeno adesso che si trova a parlare di sviluppo sostenibile (lo fara’ giovedi’ prossimo 14 maggio a Pordenone, vedi box a pagina 49). Nella nuova filosofia appena avviata che sembra ispirare il mercato globale per il prossimo futuro intravede una possibilita’ anche per i paesi piu’ arretrati di uscire dal loro disagio.

Professor Amartya Sen, partiamo da una premessa. Perche’ e’ necessario oggi essere tutti ecologisti?
Perche’ e’ diventato un dovere inderogabile battersi a difesa dell’ambiente
“Ci sono delle ragioni, delle esigenze sia locali sia globali per battersi per la difesa e la salvaguardia dell’ambiente. Le ragioni locali appaiono ovvie se ci si trova a Pechino, Nuova Delhi o Ctta’ del Messico e si cerca di guardare qualcosa a distanza attraverso l’inquinamento urbano o si cerca di respirare un’aria fresca che e’ difficile da trovare. Ma le necessita’ di un piano per l’ambiente non si esauriscono qui, con queste considerazioni su aspetti specifici. Ci sono grandi temi come il riscaldamento globale o l’impoverimento dello strato di ozono nell’atmosfera che riguardano tutti. E tutti i paesi devono andare oltre i loro interessi per contribuire al miglioramento dell’ambiente del mondo intero”.

Oltre a un’esigenza strettamente ecologica ce n’e’ un’altra che riguarda lo sviluppo. La ‘green economy’ come occasione di progresso non solo per i paesi del Primo mondo, ma anche di quelli del Terzo mondo. Come coglierla?
“Vanno considerati almeno tre tipi di vantaggi. Il primo. Allo stesso modo in cui gli investimenti verdi possono essere uno stimolo per aiutare i paesi sviluppati, se pianificati con cura possono dare un contributo all’espansione dell’economia dei Paesi poveri. Secondo. La salvaguardia dell’ambiente locale puo’ aumentare la qualita’ della vita delle persone che abitano nei Paesi in via di svuluppo. Terzo. Le popolazioni dei Paesi in via di svuluppo vivono nello stesso unico mondo, non abitano su Marte. I contributi che verranno dati per migliorare l’ambiente nella sua globalita’ aiuteranno a rendere piu’ sicura la vita di tutti i popoli, inclusi quelli che vivono nei paesi in via di sviluppo”.

Dunque lei appoggia in pieno l’impegno del presidente Obama per una rivoluzione verde che diventi anche il motore di un’economia in pieno affanno dopo la crisi.
“L’elezione di Barack Obama e’ stata un grande evento non solo per gli Stati Uniti, ma per il mondo intero. E per molte ragioni. Da quando e’ impegnato nel cercare di risolvere la crisi, Obama ha affrontato una serie di questioni cruciali. Ne cito alcune. La necessita’ che lo Stato impartisca buone regole; gli interventi pratici per stimolare l’economia e la necessita’ di una copertura assicurativa universale in campo sanitario che esiste in Europa e in Canada ma non negli Stati Uniti. Per quanto rigurda la svolta verde, le industrie amiche dell’ambiente sono, naturalmente, parte della soluzione a lungo termine dei nostri problemi che riguardano l’eccessivo sfruttamento e la decimazione dell’ambiente e che sono, anch’essi, di lunga durata. Quest approccio rappresenta davvero una novita’ importante, una maniera nuova di stimolare l’economia. Ma Obama ha posto l’accento soprattutto sull’importante connessione che esiste tra due fattori. Se pianificati con cura i nuovi investimenti che saranno necessari per generare o espandere la produzione e il consumo ‘amici dell’ambiente’ potranno anche contribuire a rigenerare l’economia”.

Si sente dire spesso che il capitalismo potra’ rilanciarsi solo se si dara’ delle regole di comportamento precise e inderogabili. Quali sono queste regole di cui i mercati dovranno dotarsi per ritrovare credibilita’?
“Uno dei fattori che stanno sicuramente alla base dell’attuale crisi e’ l’erosione delle regole statali in materi di transazioni finanziarie. Come ha notato gia’ nel Diciottesimo secolo Adam Smith, il padre della moderna economia, sebbene i mercati possano esserre molto fertili, le regole dello Stato sono comunque necessarie. Nelle ultime decine di anni, in particolar modo negli Stati Uniti, le tradizionali regole circa le transazioni dell’economia (e specialmente della finanza) sono state drasticamente ridotte, guidati come si e’ stati da un romantico credo nell’immaginaria natura autoregolamentatrice del mercato economico. E cosi’ e’ successo, negli anni recenti, che e’ stato difficile seguire le tracce delle transazioni finanziarie grazie al rapido sviluppo dei mercati secondari, inclusi quelli dei derivati.
Questa espansione avvenuta durante l’abbondante disponibilita’ del credito (in parte prodotta dall’enorme surplus di scambi commerciali di qualche economia, in particolare di quella cinese) ha rapidamente allargato la gamma delle operazioni avventate. necessario sottolineare che nel momento in cui era bruscamente aumentata la necessita’ della vigilanza dello Stato le norme di quella supervisione necessaria sono state drasticamente ridotte. Ristabilire le regole del mercato e’ una delle cose da fare per contrastare la crisi”.

C’e’ da chiedersi se basteranno le regole per superare una situazione estremamente critica.
“Certamente non sara’ sufficiente, anche se possono aiutare. Per ridare credibilita’ al mercato delle transazioni gli Stati devono fare molte altre cose. Come stimolare l’economia attraverso la spesa pubblica e le garanzie pubbliche per qualche istituzione importante anche se vulnerabile. Le banche devono essere obbligate a immettere denaro nel mercato del credito e a scorporare i prodotti finanziari insolvibili (i cosiddetti prodotti tossici) come condizione per avere l’aiuto pubblico. Fino a quando la recessione sara’ acuta e continuera’ il suo negativo impatto sulla disoccupazione e la poverta’ (succedera’, per qualche tempo, anche dopo la ripresa economica) bisognera’ essere sicuri che la rete di protezione sociale funzioni bene e abbia un’adeguata portata e un’adeguata copertura”.

Professor Sen, a suo avviso quella che stiamo attraversando e’ una crisi del capitalismo o nel capitalismo? In altre parole, il capitalismo e’ finito o c’e’ solo bisogno che sia rifondato su altre basi?
“Nella discussione in atto l’idea di capitalismo e’ diventata molto confusa. Ci sono molte definizioni in conflitto sulla natura profonda di un’economia capitalista. Ha poco senso, penso, discutere della presente crisi in termini di cosa significhi per il capitalismo. Tra i molti modi in cui il capitalismo viene definito di questi tempi due hanno un coerente e significativo senso. Una e’ una definizione teorica. Il capitalismo e’ un sistema economico nel quale le transazioni sono basate sulla proprieta’ privata e la fiducia nel mercato e in cui le imprese sono guidate dal profitto.
In questa visione, espressa in numerosi saggi, ci sono in primo luogo la proprieta’ privata come asset produttivo, in secondo luogo la fiducia dei mercati per gli scambi e in terzo luogo il sistema guidato dalla ricerca del profitto. La seconda visione, in contrasto con questa, si basa sulla definizione di capitalismo coniugata alle caratteristiche dei paesi chiamati capitalistici come gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, l’Italia, la Gran Bretagna, il Giappone. In queste economie che chiamiamo capitaliste molte operazioni non rientrano nel concetto di mercato. Basta pensare alle pensioni, ai salari per i disoccupati, ai finanziamenti pubblici a scuola e sanita’ e alla varieta’ di servizi distribuiti attraverso scelte non di mercato.
C’e’ da chiedersi se il mancato equilibrio tra mercati, diritti di proprieta’ e ricerca del profitto da una parte e istituzioni non di mercato, servizi pubblici, impegno sociale per ridurre la poverta’ dall’altra, sia da mettere in relazione con la crisi. Io credi di si'”

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