Incentivi sulle rinnovabili sì, ma non nelle bollette delle famiglie. Il pezzo di Sergio Luciano su Affari Italiani, che abbiamo utilizzato come”pensiero forte”: gli incentivi sono cosa buona e giusta, ma non devono gravare sulle finanze dei cittadini italiani.
Diamo un taglio agli incentivi per l’energia rinnovabile: la pacchia finisca, i produttori verdi, talvolta ottimi imprenditori ma più spesso speculatori opachi, paghino pegno. E’ questa l’idea che inizia a farsi strada, segretamente, all’interno del governo italiano. Per dare sollievo alle bollette delle famiglie e delle imprese italiane, su cui si scarica il costo degli incentivi. Dopo le statistiche – impressionanti – sul rincaro del kilowatt dalla seconda metà del 2011 allo stesso periodo del 2012, un rincaro dell’11,2% pari al doppio della media europea, il presidente della Authority per l’energia Guido Bortoni ha ricordato che sulle bollette italiane gravano 11 miliardi di incentivi, di cui 6,5 per il solo fotovoltaico. Troppi.
DUE POSSIBILI SOLUZIONI. Che fare? Due gli esempi disponibili. Quello spagnolo, e quello rumeno. In Spagna sono stati “morbidi”: hanno introdotto una tassa, il “centesimo verde”, sui proventi dei produttori di energie rinnovabili, che vada a ristorare i consumatori. In Romania più drastici: stanno discutendo in Parlamento una legge che azzera retroattivamente una gran parte degli incentivi che erano stati introdotti, chi ha dato ha dato chi ha avuto ha avuto. Non proprio il massimo per uno stato di diritto. Ma c’è di più. I produttori di energia termica, quella che insomma si ricava bruciando idrocarburi nel cosiddetto “ciclo combinato” premono sul governo e sui partiti (o quel che ne resta) con una costante azione di lobby perché la forte produzione di rinnovabili italiane sta mandando gambe all’aria la loro attività. Capeggiati da Sorgenia, il gruppo energetico che fa capo a De Benedetti, questi produttori lamentano una lacuna oggettivamente assurda del nostro sistema: abbiamo fatto tante rinnovabili ma non abbiamo fatto la rete intelligente. Per cui quando tira vento o c’è il sole, si produce tanta energia verde e, non potendola immagazzinare, la si immette in rete e la si consuma subito, imponendo ai produttori termici di fermare i loro impianti; quando non c’è vento e non c’è sole si ricorre al termico, impedendo ogni straccio di programmazione industriale, lasciando scariche le centrali termoelettriche e mandando in crisi economica i gruppi.
RIQUALIFICARE LA RETE ITALIANA. Per sfruttare appieno la capacità produttiva di energia verde installata in Italia – che, non dimentichiamolo, è effettivamente più ecologica delle altre – occorrerebbe riqualificare la rete, dotandola di una collana di accumulatori in grado di assorbire l’elettricità prodotta dal vento e dal sole quando c’è e rilasciarla quando serve, giocando virtuosamente a incastro con la produzione termoelettrica e non – al contrario – andando in concorrenza con essa. Già: ma “riqualificare” la nostra rete elettrica e renderla intelligente è un lavoretto che costa almeno 5 miliardi di euro. E chi ce li ha da spendere, in questo momento?
L’ultimo atto politico formale del nostro governo risale al 2 aprile scorso, quando è stato pubblicato lo schema di decreto di modifica della legge 220/2008 relativo al sistema per la promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili. Si propone di posticipare l’assegnazione dei Certificati verdi (CV), che dovrebbero essere assegnati nel periodo tra il 1/7/2013 e il 30/12/2016, in un periodo successivo a seconda della tecnologia. Il che si risolverebbe in un primo risparmio per lo Stato e quindi per le nostre bollette. Si vedrà: la materia tocca interessi scottanti e divide gli animi. Più che dirimere tanti contrasti, è tristemente probabile che si faccia finta di niente. Ma gli esempi di Spagna e Romania pesano….