L’Italia è uno dei Paesi industrializzati con la maggiore disuguaglianza dei redditi, anche perchè il divario tra ricchi e poveri è andato ampliandosi negli ultimi decenni. In base a uno studio dell’Ocse, la Penisola è all’ottavo posto tra i 34 Paesi aderenti all’Organizzazione per il divario dei redditi tra le persone in età lavorativa ed è quinta per l’allargamento del gap tra la metà degli anni 80 e la fine degli anni 2000. Nel rapporto su crisi e divario sociale, l’organizzazione spiega che nel nostro Paese lo stipendio medio del 10% più ricco è oltre 10 volte superiore a quello del 10% più povero (49.300 euro contro 4.877). Inoltre, la quota di reddito nazionale complessivo detenuta dall’1% più ricco è passata dal 7 al 10% negli ultimi 20 anni.
LE CLASSI MEDIE – Ma le diseguaglianze di reddito crescono in tutto il mondo, nelle economie emergenti ma anche «’in Paesi tradizionalmente «egualitari» come quelli scandinavi, e l’insicurezza economica tocca sempre più le classi medie.
LE «CASTE» – Inoltre, scrive ancora l’Ocse, si è ridotta la mobilità sociale per matrimonio: sempre più persone si sposano con persone con redditi da lavoro simili ai loro. Professori che sposano professori, medici che sposano medici: in tempi di crisi, anche l’Italia rischia di scoprire le «caste». Nel nostro Paese, infatti, spiega Stefano Scarpetta, vicedirettore della sezione Lavoro e politiche sociali dell’Ocse, a margine della presentazione del rapporto su crisi e diseguaglianze economiche, «come in altri Paesi occidentali, i ricchi si sposano con i ricchi, e anche il matrimonio diventa un fattore di polarizzazione del reddito, contribuendo a un terzo dell’aumento della disuguaglianza di reddito da lavoro tra le famiglie».
TASSE – Per quanto riguarda invece le politiche fiscali, l’Ocse rileva che «la quota crescente di reddito per la popolazione con le retribuzioni più elevate suggerisce che la sua capacità contributiva è aumentata. In tale contesto, le autorità potrebbero riesaminare il ruolo redistributivo della fiscalità, onde assicurare che i soggetti più abbienti contribuiscano in giusta misura al pagamento degli oneri».
LAVORO AUTONOMO – A contribuire in maniera importante all’ampliamento della disuguaglianza è stato l’aumento dei redditi da lavoro autonomo, che sembrano predominare tra le persone con i redditi più alti, contrariamente a quanto avviene in molti altri Paesi Ocse. In linea con l’andamento dei maggiori Paesi industrializzati è invece il fatto che la differenza tra le ore di lavoro dei lavoratori meglio e peggio retribuiti è aumentata. Dalla metà degli anni Ottanta, il numero annuale di ore di lavoro dei lavoratori dipendenti meno pagati è diminuito, passando da 1580 a 1440 ore. Anche quello dei lavoratori meglio pagati è diminuito, ma in minor misura, passando da 2170 a 2080 ore. Un altro dato che aumenta la disuguaglianza di reddito da lavoro tra le famiglie è il fatto che i matrimoni tendono ad avvenire tra persone con redditi da lavoro simili. L’aumento della disuguaglianza dei redditi da lavoro maschile rimane, tuttavia, la prima causa dell’aumento della disuguaglianza, totale spiegandone la metà.
OCCUPAZIONE – Nelle sue raccomandazioni ai Paesi industrializzati ai fini della riduzione delle disuguaglianza dei redditi, l’Ocse sottolinea che l’occupazione è il modo per migliore di ridurre le disparità, tramite la creazione di posti di lavoro «qualitativamente e quantitativamente migliori». È essenziale – indica L’Organizzazione – investire nelle risorse umane, fin dalla prima infanzia e per tutto il ciclo dell’istruzione e occorre fornire incentivi sufficienti sia ai lavoratori, sia ai datori di lavoro, affinchè investano nelle competenze lungo l’intero arco della vita lavorativa.