Immigrati a Lampedusa: lEuropa latitante e lItalia confusa

Con la solita abilità dell’ammiccante comunicatore Silvio Berlusconi ha provato a rassicurare i cittadini di Lampedusa schiacciati dalla pressione degli sbarchi dai paesi del Mediterraneo in rivolta e spettatori di una tragedia biblica (mercoledì scorso 11 immigrati sono morti in mare). Il capo del governo ha utilizzato l’intero repertorio di promesse a sua disposizione, e […]

Con la solita abilità dell’ammiccante comunicatore Silvio Berlusconi ha provato a rassicurare i cittadini di Lampedusa schiacciati dalla pressione degli sbarchi dai paesi del Mediterraneo in rivolta e spettatori di una tragedia biblica (mercoledì scorso 11 immigrati sono morti in mare). Il capo del governo ha utilizzato l’intero repertorio di promesse a sua disposizione, e come un prestigiatore ha tirato fuori dal cappello impegni ad horas (un piano per liberare l’isola in due giorni) e partecipazione personale (perfino l’acquisto su Internet di una villa in Sicilia). Il tutto condito con promesse che spaziano dalla zona franca per il turismo e le attività commerciali a una nuova pavimentazione stradale fino all’idea di aprire un casinò. Un film già visto, per esempio a Napoli nei giorni più bui dell’emergenza rifiuti, con un copione recitato alla perfezione senza però riuscire a mascherare i ritardi che il governo sconta e, innanzitutto, la mancanza di un piano strategico, magari condiviso con gli altri paesi dell’Unione.

Oggi il ministro Franco Frattini, giustamente, alza la voce contro l’Europa che lascia sola l’Italia di fronte all’onda lunga di 50mila profughi e, come ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, «tenta solo di difendere i propri bastioni»; ma ieri, quando poteva farlo, l’Italia non ha fatto valere le sue ragioni a Bruxelles e ha pensato di cavarsela, con la solita tecnica dell’arte di arrangiarsi, con accordi bilaterali con governi, come la Tunisia e la Libia, poi travolti dalle proteste popolari. Eppure avevamo già vissuto un’analoga esperienza nel 1991 quando ci trovammo, improvvisamente, invasi dagli sbarchi degli albanesi sulle coste del Salento. Vent’anni dopo siamo ancora fermi allo stesso punto, incapaci di prevenire l’emergenza e di affrontarla con un piano compiuto di respiro nazionale ed europeo. La contingenza ci travolge, ieri come oggi.

Il premier ha anche annunciato che i profughi saranno imbarcati su alcune navi, magari con la speranza di sbarcarli in altri paesi, ma così rischiamo di istituzionalizzare la figura dell’immigrato itinerante, via mare. E di fronte alla necessità di «essere uniti» il governo dovrebbe spiegare il senso e il peso delle contraddizioni leghiste. Dallo stesso partito, infatti, arrivano la voce ringhiosa del leader Umberto Bossi che strilla, rivolto ai profughi, «fuori dalle balle» e quella , altrettanto severa, del ministro degli Interni, Roberto Maroni, che minaccia di precettare le regioni non disposte ad accogliere uomini e donne in fuga dal Maghreb. A chi dei due dovremmo dare retta, da cittadini italiani?   

L’immigrazione, combinata come in questo caso all’implosione di interi sistemi politici, non è un fenomeno che si può governare con iniziative sporadiche o con azioni consolatorie. Nessuno ha la bacchetta magica, ma l’esperienza avrebbe dovuto insegnarci a muoverci con delle risposte di sistema, non con la quotidiana e affannosa rincorsa di invenzioni, magari anche efficaci nel breve periodo. E in questo vuoto acquistano un maggiore risalto la dignità, la generosità e, perché no, la sensibilità dei cittadini di Lampedusa. Non sappiamo quanti cittadini, trovandosi dalla mattina alla sera sommersi da un numero di profughi che superano la stessa popolazione sul territorio, avrebbero reagito con tanto senso di responsabilità. Questa, per il momento, è l’unica sfida che, da italiani, abbiamo vinto sul fronte dell’immigrazione.

 

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