The Economist, Gran Bretagna
“Nonno Wen”, come viene
chiamato il primo ministro
cinese Wen Jiabao, è
un patriarca pragmatico.
Il 5 marzo, durante il discorso annuale in
occasione del congresso nazionale del popolo,
ha presentato il nuovo piano quinquennale.
Oltre ai rigorosi obiettivi di tutela
della stabilità dei prezzi e della sicurezza
nazionale, il primo ministro ha promesso
di valorizzare la creatività della Cina,
arricchirne la ilosoia, favorire uno
spirito innovativo, combattere ogni spreco
e assicurare un’ora al giorno di ginnastica
nelle scuole.
Lo scopo è trasformare la Cina in una
società xiaokang (di classi medie) entro la
ine del decennio. L’espressione rimanda
al confuciano Shi Jing (Libro delle odi) e
indica una società moderatamente prosperosa
che comincia a godere dei frutti
del suo lavoro.
Per aiutare la Cina nel suo cammino, il
primo ministro ha issato al 7 per cento
annuo l’obiettivo per la crescita economica
nel quinquennio 2011-2015. Il dato non
va però interpretato in senso letterale. Nel
piano precedente il traguardo stabilito era
il 7,5 per cento, ma ciò non ha impedito alla
Cina di crescere di più dell’11 per cento
nel quinquennio appena trascorso. Comunque
l’obiettivo è meno ambizioso del
precedente, e ciò signiica che adesso il
percorso della crescita è importante tanto
quanto la sua rapidità.
Wen Jiabao, infatti, ha sottolineato che
lo sviluppo del paese non è ancora bilanciato,
coordinato, né sostenibile. La crescita
della Cina si basa troppo sugli investimenti
e sullo sfruttamento delle risorse
naturali e troppo poco sui consumi dei cittadini.
Gli introiti generati non sono suddivisi
in modo uniforme: tra i proitti e i
salari, tra le famiglie ricche e quelle povere,
tra le province costiere e le regioni
dell’entroterra, tra le città e le campagne.
Il primo ministro ha inoltre ammesso
che la Cina non è riuscita a raggiungere
nemmeno tre degli obiettivi issati nell’ultimo
piano quinquennale. Due riguardano
l’industria dei servizi, che nel 2010 ha rappresentato
il 43 per cento del pil. In paesi
con un livello di sviluppo paragonabile a
quello della Cina il settore terziario solitamente
si avvicina ai tre quinti del pil.
La maggior parte dei mercati più redditizi
per il terziario cinese, come per
esempio quello delle telecomunicazioni, è
dominata da aziende statali. La “fame
d’investimenti” di queste aziende, che ricevono
denaro a tassi convenienti dalle
banche statali e riciclano gli enormi proitti,
è una delle cause principali dello sviluppo
sbilanciato della Cina. Wen Jiabao ha
promesso di mettere a punto 36 linee guida
per scardinare le “porte a vetri” che
impediscono l’alusso di capitali privati in
molti settori che non sono di competenza
esclusiva dello stato, tra cui i trasporti,
l’energia e i servizi municipali.
Tuttavia, nell’anno in corso le liberalizzazioni
potrebbero essere bilanciate dagli
sforzi per impedire il surriscaldamento
dell’economia. Il governo sta cercando di
contenere l’inlazione attraverso la stretta
del credito, e nonostante Pechino prema
ainché le piccole aziende continuino a
essere inanziate dalle banche, non c’è alcun
dubbio che queste ultime preferiranno
allontanare i privati piuttosto che le
aziende statali. Se sarà necessario, ha aggiunto
il primo ministro, il governo è
pronto a controllare i prezzi attraverso
“provvedimenti amministrativi”. Inoltre
Wen ha garantito che la Cina porterà
avanti una riforma dei tassi d’interesse
“basata sui mercati”. La speranza è che
tassi più liberi possano favorire i risparmiatori
scoraggiando investimenti eccessivi.
In questo modo i privati potrebbero
ottenere prestiti dalle banche statali dichiarandosi
disposti a pagare interessi più
alti. Il cammino eccentrico dello sviluppo
cinese non è mai stato facile da inquadrare.
Per alcuni rappresenta un nuovo modello
di capitalismo di stato: un “Beijing
consensus” opposto al “Washington consensus”.
Altri pensano che la Cina si stia
invece avvicinando al modello di Washington.