Il capitalismo con i conti che non tornano

Durante la presentazione delle attivita’ della sua Fondazione filantropica che quest’anno investira’ 3,6 miliardi di dollari, Bill Gates ha auspicato l’avvento di un nuovo capitalismo creativo. In quale direzione? La crisi ha fatto esplodere la contraddizione piu’ grave di un modello di sviluppo che, per il momento, non ha alternative: lo spaventoso aumento delle distanze […]

Durante la presentazione delle attivita’ della sua Fondazione filantropica che quest’anno investira’ 3,6 miliardi di dollari, Bill Gates ha auspicato l’avvento di un nuovo capitalismo creativo. In quale direzione? La crisi ha fatto esplodere la contraddizione piu’ grave di un modello di sviluppo che, per il momento, non ha alternative: lo spaventoso aumento delle distanze tra ricchi e poveri nel mondo. A fronte di nuove economie che sono entrate nei primi posti della classifica, l’Ocse ha calcolato che l’indice di ineguaglianza globale e’ aumentato a un ritmo annuo del 12 per cento. E non solo tra Nord e Sud del mondo, ma anche all’interno dei paesi dove il benessere e’ diffuso e consolidato. In Gran Bretagna, per esempio, l’indice Gini, che calcola appunto le distanze sociali nel paese, e’ schizzato dai 130 punti dell’era di Margaret Thatcher ai 138 punti della lunga stagione di governo dei laburisti. E dire che Tony Blair aveva promesso un dimezzamento dei poveri entro la fine del suo mandato! Negli Stati Uniti il 10 per cento della popolazione controlla il 70 per cento della ricchezza e perfino in Italia la forbice tra ricchi e poveri si e’ allargata. Secondo i dati della Banca d’Italia 5 milioni di italiani stringono in pugno il 42 per cento della ricchezza nazionale.
Ricapitolando: il capitalismo e’ entrato in corto circuito, con effetti a catena, laddove e’ rallentata l’equita’ sociale, e il mondo si e’ ritrovato con le due famose stanze dove in una si crepa e nella’altra si spreca. Da qui bisogna partire. Senza scivolare nelle vecchie formule ideologiche del pauperismo e senza cedere nulla alla tentazione di tornare a rincorrere l’utopia del “migliore dei mondi possibili”. Servono nuove analisi, nuovi strumenti di interpretazione, nuovi obiettivi. Su questi si esercitera’, nei prossimi anni, la dottrina culturale che, vedrete, tirera’ fuori una nuova teoria sul capitalismo creativo, magari consacrandola con un premio Nobel. E su questo terreno si giochera’ anche la leadership politica, come ha perfettamente intuito il presidente americano Barack Obama che certo non vuole passare alla storia come il primo leader socialista alla Casa Bianca. Ma magari sogna, e promette, un cambiamento d’epoca che possa riconciliare l’economia capitalista con una societa’ piu’ giusta e piu’ aperta. A tutti.

Torna in alto