I consiglieri di quartiere costosi e intoccabili

«Non sono gli elettori che eleggono il deputato, ma il deputato che si fa eleggere dagli elettori». La regola enunciata ai primi del novecento dal politologo palermitano Gaetano Mosca, si può tranquillamente estendere ai consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali di tutta Italia. Inutile dar torto al professor Mosca. Altrettanto inutile scomodare i deputati e […]

«Non sono gli elettori che eleggono il deputato, ma il deputato che si fa eleggere dagli elettori». La regola enunciata ai primi del novecento dal politologo palermitano Gaetano Mosca, si può tranquillamente estendere ai consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali di tutta Italia. Inutile dar torto al professor Mosca. Altrettanto inutile scomodare i deputati e i senatori della Repubblica, ormai sotto il tiro incrociato di chi – urbi et orbi – ne chiede il dimezzamento del numero e degli emolumenti.
Per misurare la febbre del sistema rappresentativo basta schiacciare il tasto meno uno dell’ascensore della politica e visitare il sottoscala che ospita le istituzioni "di prossimità" ai cittadini, ovvero le municipalità o consigli di quartiere.
Napoli città: un milione di abitanti e 21 circoscrizioni che nel 2005, dopo la grande riforma voluta da Rosetta Iervolino, si trasformano in dieci municipalità. Insieme all’approvazione del piano regolatore è uno dei due risultati che la Iervolino e il Pd portano a casa in dieci anni ininterrotti di governo.
I conti (e i resoconti) li ha fatti un sociologo della Federico II, Luciano Brancaccio: 300 consiglieri, dieci presidenti, dieci vicepresidenti e trenta assessori (tre per municipalità). Costo: cinque milioni l’anno, calcolando solo i rimborsi, ma si tratta di una stima per difetto. Poteri: praticamente nessuno, se si eccettua la manutenzione delle strade secondarie (nella maggioranza quelle senza uscita, i cosiddetti cul de sac) e delle scuole.
I parlamentini esprimono pareri non vincolanti che poi l’amministrazione comunale è libera di usare o non usare. Libertà è partecipazione, ma solo nelle parole di Giorgio Gaber. Brancaccio, in un saggio scritto con la ricercatrice Anna Zaccaria, spiega che la democrazia partecipata in salsa napoletana non solo è un colossale fallimento ma che i parlamentini non sono né più né meno che la versione contemporanea delle sezioni di partito. I due sociologi non parlano a casaccio: prima della riforma del 2005, che ne riduce il numero di un terzo, intervistano con un corposo questionario 387 dei 435 consiglieri di circoscrizione per tracciarne il profilo socioanagrafico. Il verdetto è perentorio: «Non si tratta di rappresentanti istituzionali, ma di referenti di partiti nei territori».
Tutti erano iscritti ai partiti e il 59% di loro ammetteva di aver condotto la campagna elettorale in cordata con un consigliere comunale o un deputato che in quella municipalità ha una porzione del suo collegio elettorale (a Napoli ogni municipalità conta dai 90 ai 120mila abitanti). Perché si buttano in politica? Uno di loro lo chiarisce rispondendo a una domanda del questionario: «Ci si candida perché te lo chiede l’amico dell’amico che sta nel partito». Insomma, un ceto di professionisti della politica con un identikit coerente con una grande area urbana del Sud: maschi, di età mediana e classe media che lavorano nel pubblico impiego.
In tempi di vacche magre e ostilità crescente nei confronti della politica, qualcuno dalle parti di Montecitorio ha provato a depennare tutte le indennità dei consiglieri di municipalità italiani, salvando il dovuto di presidenti e assessori (al nulla). L’idea, tradotta in pratica con un decreto legge, assimilava di fatto lo status dei consiglieri di circoscrizione a quello dei volontari. Correva la primavera del 2010. Non passano nemmeno due mesi e il 9 luglio la Commissione Bilancio del Senato, su proposta dei senatori abruzzesi Paolo Tancredi e Andrea Pastore, approva un emendamento nell’iter della conversione in legge dello stesso decreto che alla luce degli avvenimenti seguenti ostenta un titolo vagamente ironico: "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica". Contrordine colleghi: si ripristina il gettone di presenza per i consiglieri di quartieri ma limitatamente «alle 10 città metropolitane d’Italia».
Nel loro piccolo pure i consiglieri delle municipalità sono intoccabili. Eppure, nel 2006 il Prefetto di Napoli certificò che almeno un centinaio di candidati fossero ineleggibili per condanne passate in giudicato. I reati ricorrenti erano soprattutto tre: associazione mafiosa, traffico di stupefacenti e corruzione. Ma questo a Napoli non stupisce nessuno. Stupisce, invece, la giungla tabellare delle indennità previste per i componenti dei parlamentini. Il presidente ha diritto ai 2/3 di un assessore, il vicepresidente e gli assessori ai 3/4 dei presidenti, i consiglieri a 1/4 del presidente. La paga base del consigliere non dovrebbe superare i 500 euro netti. Poi si apre il complicatissimo capitolo dei rimborsi che il Comune deve ai consiglieri-lavoratori: tra forfait e permessi retribuiti ci sono codici e codicilli, prassi, consuetudini, piaceri personali ed eccezioni alla regola custoditi gelosamente nella cassaforte cerebrale degli eletti dal popolo.
Due i metodi per moltiplicare i vantaggi di una elezione: farsi assumere da un datore di lavoro compiacente con cui ci si spartisce il rimborso dello stipendio dovuto dallo Stato; oppure la moltiplicazione dei consigli straordinari, che ovviamente danno diritto a gettoni extra. Un classico è il consiglio straordinario convocato in vista delle festività natalizie, malgrado la data di nascita di Gesù Cristo non sia un segreto per nessuno da almeno una ventina di secoli.

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