I commandos del Pollice verde

Nicoletta Martinelli   Attaccano di notte in pieno centro cittadino, sventrano il terreno peggio che se fosse passato un bombardamento, divelgono, scavano, sotterrano. Poi annaffiano. La guerrilla gardening si fa così: armati di vanghe, rastrelli e annaffiatoi, forniti di arbusti da mettere a dimora o – è il modo più semplice di colpire – di […]

Nicoletta Martinelli

 

Attaccano di notte in pieno centro cittadino, sventrano il terreno peggio che se fosse passato un bombardamento, divelgono, scavano, sotterrano. Poi annaffiano. La guerrilla gardening si fa così: armati di vanghe, rastrelli e annaffiatoi, forniti di arbusti da mettere a dimora o – è il modo più semplice di colpire – di «bombe» di semi ben imbibiti di fertilizzante. Malgrado il linguaggio bellicoso, i «guerriglieri del verde» sono quanto di più pacifico si possa immaginare: «assaltano» solo aree verdi abbandonate a se stesse, fazzoletti di terra invasi dalle sterpaglie, aiuole spartitraffico dove languono siepi sfiorite, giardinetti degradati delle periferie cittadine.

Da Milano a Salerno, da Trento a Ragusa, passando per Bologna, Pistoia, Latina… i guerrilla gardener  combattono una guerra non violenta contro il grigiore cittadino ma anche, o forse soprattutto, contro l’indifferenza. «Napoli ti procura un senso di inutilità incredibile, di impotenza senza scampo. Sembra che tu non possa fare niente, che lasciare andare le cose come vanno sia l’unica possibilità.

Tra l’immondizia che cresce, il degrado che avanza»: Laura Gioia ha 22 anni e studia agraria a Portici, della sua città vede i difetti ma non per questo la ama meno. Semmai cerca di renderla migliore come può e come sa, cominciando dal giardinetto sotto casa, una delle rare zone «verdi» del quartiere ma che verde non era più da un pezzo, trasformato dai bottegai in una discarica a cielo aperto costellata di cassette, scatoloni, rifiuti: «Io, mio fratello Marco e qualche amico – racconta Laura – abbiamo cominciato da lì, dalla grande aiuola di via Cavalleggeri, ripulendola dall’immondizia, rivoltando la terra e concimandola, mettendo a dimora nuove piante e nuovi fiori». I passanti e gli abitanti del quartiere all’inizio hanno assistito un po’ stupiti all’operazione, poi hanno partecipato attivamente occupandosi della manutenzione nelle settimane successive.

E se, in genere, le operazioni di guerrilla gardening si svolgono prevalentemente di notte, i «Friarielli Ribelli» (così si chiama il gruppo dei fratelli Gioia) preferiscono agire alla luce del giorno: «Perché i nostri vogliono essere gesti dimostrativi, rendere evidente che chi ama il posto dove vive lo tratta con riguardo, cambia quello che non funziona, contribuisce a migliorarlo. Qui c’è immondizia dappertutto – prosegue Laura – e le persone si sentono legittimate a non avere rispetto, si sentono in diritto di aggiungere anche la loro di immondizia. Ma non è così che funziona».

La creatività è contagiosa e le schiere dei sabotatori del degrado si infoltiscono: a Salerno operano i Naz (i «Nuclei Armati di Zappa»); a Catania ci sono le Erbematte, a Torino i Badili Badola (in piemontese con badola si indica uno stupidotto) e a Pescia i Figli dei fiori, a Ragusa i TantuVerde. E l’elenco potrebbe continuare. Il guerrilla gardening è nato negli Stati Uniti quando, nel 1973, Liz Christy e il suo gruppo salirono alla ribalta delle cronache trasformando un angolo abbandonato di New York in un rigoglioso giardino, che è ancora ben tenuto a distanza di trent’anni: sono sempre i volontari a prendersene cura, sebbene oggi il luogo goda della protezione del dipartimento parchi di New York.

In Europa, l’azione più spettacolare è stata opera del gruppo danese Økologiske Igangsættere che il 1° luglio 1996 trasformò in giardino, in una sola notte e con l’aiuto di circa mille volontari, un pezzo di terra brullo nel centro di Copenaghen. Bisogna aspettare il 2006 per vedere nascere in Italia i primi commandos di giardinieri d’assalto: quanti siano è impossibile da stabilire perché i numerosissimi gruppi si formano e si disgregano a gran velocità e sono rarissimi quelli che si strutturano come associazione.

Nel nostro Paese la legge vieta esplicitamente di piantare alberi e fiori nei luoghi pubblici perché ogni modifica del verde urbano dovrebbe essere decisa dalle amministrazioni locali. Che, però, chiudono un occhio e anche due… «Ho scoperto di essere un guerrigliero verde leggendo un articolo su una delle riviste di mia moglie. Guarda qui, ho detto agli amici che avevano lavorato con me, siamo guerriglieri e neanche lo sappiamo…»: Gino Abitale fa l’architetto e vive a Casaluce, in provincia di Caserta. Il primo attacco, inconsapevole per sua stessa ammissione, lo ha perpetrato a beneficio di una grande aiuola abbandonata.

Mettete un fiore sulla vostra immondizia? «Mettete un fiore dopo aver tolto l’immondizia! Una parte delle nostre operazioni hanno riguardato i rifiuti. Quando è arrivato l’esercito a toglierli dalle strade – spiega Gino – ci siamo accorti che i soldati toglievano la parte più consistente con le pale meccaniche e le ruspe ma sul terreno restavano comunque residui di ogni genere. Noi li abbiamo tolti, cercando di pulire il più possibile per dare l’idea che il luogo fosse rinnovato e la gente non fosse incentivata a portare lì di nuovo la pattumiera».

I guerrilla gardener si forniscono di tutto a proprie spese, dagli strumenti (vanghe, sarchiatori e rastrelli) ai semi e alle piante. «Per la nostra operazione più importante – racconta l’architetto – ci siamo alleati con la Polizia forestale, che ci ha regalato 200 germogli. Di notte li abbiamo piantati in un’area della scuola materna di Casaluce, una landa desolata. Il gruppo si è autotassato per aggiungere alle piante anche un po’ di fiori, che danno colore». A mettere in contatto tra loro i guerriglieri, a dispensare consigli e a gestire il sito di riferimento (www.guerrillagardenig,it) sono Michele e Andrea, giardinieri di professione, eco-assaltatori per passione: «A Milano, dove abbiamo cominciato, l’iniziativa è spesso dei singoli, assolutamente spontanea. C’è chi compera un albero, magari da frutto, e lo pianta in un’aiuola vicino a casa – spiega Michele Trasi – per vederlo crescere. È un movimento trasversale, qualcuno dei nostri interventi è più spettacolare e ha intenti dimostrativi, moltissimi sono opera di persone che ricavano un piacere personale nel regalare alla città un angolino più verde».

 

 

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