Ho fatto l’ autotrasfusione Riccò choc, radiazione vicina

  di Paolo Tomaselli MILANO – Lo ha confessato al medico del pronto soccorso di Pavullo, perché stava per morire: «Ho fatto un’ autotrasfusione da solo, il sangue era in frigo da venticinque giorni». Ora sta meglio, Riccardo Riccò, anche se dovrà restare ancora qualche giorno all’ ospedale di Modena, dove è ricoverato da domenica […]

 

di Paolo Tomaselli
MILANO – Lo ha confessato al medico del pronto soccorso di Pavullo, perché stava per morire: «Ho fatto un’ autotrasfusione da solo, il sangue era in frigo da venticinque giorni». Ora sta meglio, Riccardo Riccò, anche se dovrà restare ancora qualche giorno all’ ospedale di Modena, dove è ricoverato da domenica in prognosi riservata nel reparto di Neuroterapia intensiva: la salute è al sicuro, la carriera, ad appena 27 anni, è ormai compromessa. La Procura di Modena, che ha confermato il dettaglio chiave della trasfusione «fai da te» messo a referto dal medico del pronto soccorso, ha aperto un fascicolo sul corridore per sospetta violazione della legge antidoping 376/2000: Riccò rischia da 3 mesi a 3 anni. La Procura antidoping del Coni di conseguenza ha aperto una procedura disciplinare: l’ autoemotrasfusione è una pratica dopante (violazione dell’ articolo 2.2 del codice Wada) e per il corridore, già positivo al Tour 2008, la soluzione più probabile è ormai quella più radicale: la radiazione. Nel caso Riccò, anche l’ aspetto sportivo rischia comunque di passare in secondo piano. Non a caso quello del presidente federale Renato Di Rocco è un vero appello, dai toni quasi disperati: «Non ci sono mezzi termini: per il suo bene, per la sua famiglia, per il bene del ciclismo Riccò deve lasciare lo sport agonistico, deve uscire dal tunnel perverso in cui si è infilato, deve ritrovare se stesso, come persona, prima di tutto, come uomo. Ha fatto quello che ha fatto nonostante la condanna rischiando anche la vita e questo fa venire i brividi. Siamo di fronte a un ragazzo malato dentro, intossicato da falsi messaggi – visibilità e successo a tutti i costi e con ogni mezzo – che gli hanno fatto perdere il senso della realtà, di ciò per cui vale pena impegnarsi, faticare e vivere. Il danno di immagine è enorme. Ma il disastro morale è spaventoso». Riccò si è sentito male sabato. La febbre fino a 41 lo ha costretto a recarsi al pronto soccorso più vicino alla sua abitazione di Serramazzoni, sull’ Appennino Modenese. A Pavullo, la criticità della situazione ha costretto i medici a trasferire il corridore a Modena in rianimazione. Ora, come recita il bollettino di ieri sera, Riccò «è in via di miglioramento». Ma se l’ è vista brutta: conservare il sangue tra il cartone del latte e gli omogeneizzati per il figlio è una pratica che fino a qualche anno fa era più diffusa di quanto si possa pensare (basta leggere i verbali di Operacion Puerto e altre inchieste) ma è altamente rischiosa. Per questo anche sull’ affermazione del corridore («Ho fatto da solo») è lecito dubitare: medici, infermieri e massaggiatori compiacenti sono uno dei mali impossibili da sradicare nello sport. In autunno lo scalatore secondo al Giro 2008 era stato accolto dal professor Aldo Sassi del centro Mapei, simbolo del ciclismo pulito, per stilare un programma atletico di rilancio. A dicembre, Aldo, già provato dalla malattia, è morto: «Questa è una carognata e un’ offesa alla famiglia di Sassi», sottolinea il ct azzurro Paolo Bettini. Solo un mese fa Riccò aveva dichiarato «si può vincere senza doping». Ma per dominare il Mont Faron, salita totem del Giro del Mediterraneo a cui da oggi doveva partecipare, era disposto anche a rischiare la vita.
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